La scuola alternativa del giornalino “Augustus”

   Cominciai a frequentare il Liceo-ginnasio statale “Augusto” di Roma nell’anno scolastico 1955/56. L’aula della mia classe era uno squallido fondo di corridoio, chiuso alle spalle da una porta a vetri. Si faceva lezione a turni alterni, tre giorni di mattina e tre di pomeriggio. Ero capitato nella sezione D, che passava per una delle più terribili, ma aveva il privilegio di essere mista.

I professori attuavano una selezione severissima: dei miei 29 compagni di classe iniziali, solo 5 riuscirono ad arrivare con me al quinto anno senza bocciature.

   Le ragazze dovevano indossare un grembiule nero; i maschi no. Un nostro insegnante di liceo, scapolo cinquantenne, dava del “tu” ai “giovanotti” e, per timidezza, del “lei” alle “signorine“. Un altro poteva permettersi di chiamare “pezzi di bestia” gli alunni che non sapevano la matematica.

LE MOZZARELLE DEL PROFESSORE

   Generalmente, tra noi studenti e i professori non c’era un rapporto di confidenza. Tendevamo a considerare gli insegnanti come degli esseri speciali. Perciò, una volta, fece scalpore il racconto di un nostro compagno che si era imbattuto nel “mitico” professor Oddone, di latino e greco, mentre acquistava due mozzarelle in un negozio. “Ve lo immaginate Oddone con le mozzarelle in mano?”, ci domandavamo increduli e divertiti.

   Passato al liceo, migliorò di molto per me la qualità della vita scolastica: non avevo più il turno pomeridiano, sfruttavo la “rendita” del latino e del greco appresi al ginnasio, che mi consentiva di lavorare di meno a casa; e cominciai ad esercitare una certa leadership tra i miei coetanei, avvalendomi della “cultura associativa” acquisita negli anni del ginnasio con la partecipazione alle attività dell’Unione Romana Studenti Medi.

    Da allora, per un triennio (1957/58, 1958/59 e 1959/60), svolsi la duplice funzione elettiva di presidente del comitato studentesco e direttore del giornale d’istituto, Augustus, riuscendo a pubblicare complessivamente 15 numeri di una rivistina a stampa, formato quaderno, per un totale di 232 pagine, con mille copie di tiratura a numero.

   Quella del giornale, e delle varie attività autogestite che intorno ad esso ruotavano (dibattiti, manifestazioni di protesta, feste da ballo, gite e spettacoli), è risultata per me – e per altri studenti, che poi si sono affermati in vari campi della vita sociale – un’esperienza molto più formativa dello stesso curricolo scolastico.

GIORNALINO “GRANDI FIRME”

   Tra le “firme” comparse sull’Augustus in quel periodo, figurano i nomi di un futuro presidente della giunta regionale del Lazio, Bruno Landi, e di tre futuri giornalisti della stampa nazionale: Franco Coppola (La Repubblica), Roberto Chiodi (Epoca) e il “sottoscritto” Nicola Bruni (Il Giorno). Negli anni precedenti (dal 1954/55) e in quelli seguenti (fino al 1974/75, quando la testata cessò le pubblicazioni), uscirono dalla redazione dell’Augustus altri sette futuri giornalisti di livello nazionale: Federico Fazzuoli, Gianfranco De Laurentis, Vittorio Panchetti, Antonio Bruni, Giorgio Cazzella (tutti alla Rai), Orazio Maria Petracca (Corriere della Sera) e Roberto Silvestri (Il manifesto).

Il primo numero dell’Augustus (anno IV) da me diretto uscì con la data del 19 dicembre 1957 e un editoriale intitolato “Continuiamo una tradizione”. Si componeva di 12 pagine.   Una copia costava 30 lire. Con il secondo e il terzo numero del 1957/58 l’Augustus salì a 16 pagine e fu venduto a 40 lire (che era anche il prezzo di un quotidiano nazionale).

   Nel 1958/59, fu migliorata la veste tipografica con la copertina a due colori, e si arrivò a pubblicare sei numeri. Qualche articolo suscitò polemiche, fu accordato più spazio all’umorismo, aumentarono i lettori, e l’Augustus si meritò di essere citato per alcuni suoi pezzi da giornali studenteschi di altre città (con i quali intercorrevano rapporti di scambio).

   Altri sei numeri uscirono nel 1959-60, anno in cui l’Augustus fu giudicato il miglior giornale d’istituto in una mostra nazionale della stampa studentesca allestita a Frascati dal Centro europeo dell’educazione, per cui le sue vivaci copertine comparvero alla tv in un servizio del telegiornale.

   Come direttore di una testata che si fregiava della qualifica di “organo degli studenti del Liceo Augusto” (circa 1500, a quell’epoca), ritenni doveroso adottare una linea politico-culturale equilibrata e mantenere il giornale indipendente da organizzazioni esterne, come l’Unione Romana Studenti Medi, l’associazione di area democristiana a cui ero iscritto (e di cui nel 1959/60 divenni presidente). Peraltro, l’Augustus aderì al Centro Italiano Stampa Studentesca, della Gioventù Italiana di Azione Cattolica, partecipando ai suoi convegni nazionali.

CANTA GIGI PROIETTI

    Gli studenti augustei avevano costituito una compagnia filodrammatica, con a capo Gigi Proietti (alunno della sezione H), che già cominciava ad essere una star, e tre complessi musicali, uno dei quali aveva lo stesso Proietti come cantante.   

In quel triennio, come risulta dalle cronache dell’Augustus, il comitato studentesco organizzò ogni anno uno spettacolo in occasione del Carnevale.

    Le assemblee e le altre riunioni si svolgevano nel pomeriggio, a scuola, senza l’intervento di alcun professore. Il preside,  Lidio Luzi, lasciava agli studenti libertà d’azione, concedeva permessi, incoraggiava paternamente le varie attività, ma in pratica non dialogava con noi riguardo ai problemi che sollevavamo sul giornale.

    Molti docenti, a parole, ci davano ragione, ma poi non cambiavano nulla nel loro modo di insegnare, trincerandosi dietro l’obbligo dello svolgimento dei programmi. E continuavano a insistere sul nozionismo, sul terrorismo psicologico di un certo tipo di interrogazioni, sul sovraccarico di compiti per casa.

I VOTI “DI MANICA STRETTA”

   Solo alcuni di loro accettarono la nostra proposta di comunicare subito il voto di ogni interrogazione, invece di coprirlo con la mano sul registro. La ristrettezza dei voti era un’altra questione dolente. I miei professori erano per lo più “avari“, e lesinavano le giuste soddisfazioni agli alunni meritevoli. Sembrava che i voti dal “sei meno meno” in su dovessero tirarli fuori dal proprio portafoglio come banconote.

   La linea adottata ai miei tempi dal giornale Augustus, può essere così riassunta. Noi rifiutavamo l’apoliticità ritenendo che fosse anch’essa un atteggiamento politico, praticamente conservatore. Dichiaravamo di credere nei principi della democrazia, sanciti dalla Costituzione, e intendevamo svolgere un ruolo di critica costruttiva nei confronti della scuola e della società.

   Ci ispiravamo a un concetto di “scuola come comunità“. Gli studenti – dicevamo – non debbono andare a scuola solo per imparare dai professori, ma anche per incontrarsi, confrontarsi, collaborare, divertirsi e crescere insieme. L’azione educativa della scuola non deve esaurirsi nel rapporto di tipo verticale tra alunno e insegnante, ma gli studenti debbono avere anche la possibilità di autoeducarsi sviluppando una iniziativa autonoma in una dimensione di vita associata. La scuola deve quindi favorire le attività spontanee degli studenti.

PIO XII CONTRO IL NOZIONISMO

   Criticavamo il nozionismo enciclopedico degli studi liceali. E a sostegno di tale posizione pubblicammo sull’Augustus (novembre 1959) il seguente brano di un discorso che il papa Pio XII, recentemente scomparso, aveva rivolto agli studenti romani ricevuti in udienza il 24 marzo 1957:

   “Per studiare seriamente bisogna guardarsi dal credere che il numero delle cognizioni sia l’elemento fondamentale per costruire l’edificio della vostra cultura. Non le troppe cose abbisognano, ma tutto il necessario e conveniente, appreso bene, compreso giustamente, approfondito intensamente. Occorre quindi evitare di obbligarvi a uno sforzo quasi sovrumano e a rincorrere affannosamente tutto ciò che lo scibile ha messo sulle cattedre e tenta di portare sui banchi degli alunni. Ciò è tanto più vero, se si tratta di soverchi apprendimenti puramente mnemonici, che sono ben diversi dallo studio serio e gioioso, dalla vera e profonda formazione culturale, e per i quali la scuola rischia di trasformarsi in un dramma che rattrista i genitori ed irrita gli alunni”.

   Tuttavia, la maggior parte dei nostri professori finse di non capire che la citazione di quel discorso di Pio XII l’avevamo dedicata proprio a loro.   

   Lamentavamo anche che la scuola sacrificasse la cultura contemporanea e gli apporti culturali di altri popoli.  Lo studio del passato – riconoscevamo – è utile, ma diviene sterile se non guida alla comprensione della realtà presente, considerata in una dimensione non soltanto nazionale.

LA “CULTURA” DEL GIORNALINO

   Noi cercavamo di supplire, in qualche modo, alle carenze della cultura scolastica con articoli sull’attualità, la letteratura, la pittura, il cinema, il teatro e la musica dei nostri tempi. In particolare, pubblicammo un’intervista ad Alberto Moravia e un’altra a Indro Montanelli.

Tra gli argomenti d’attualità affrontati dall’Augustus, figuravano: il decennale della Costituzione, la Giornata europea della scuola, il fenomeno dei teddy boys, il dibattito sulla cosiddetta gioventù bruciata, il progetto governativo di riforma delle scuole superiori e il Piano decennale per la scuola del ’58, l’elezione del nuovo papa Giovanni XXIII, il Premio Nobel a Pasternak per Il dottor Zivago, la questione dell’Alto Adige e il “vero” patriottismo (in polemica con lo sciovinismo dei fascisti), l’abolizione della versione dall’italiano in latino agli esami di licenza media (decisa nel ’59 dal ministro della Pubblica Istruzione Aldo Moro), la dipendenza dei giornali dal potere economico, la cooperazione internazionale per promuovere la pace, il centenario del Risorgimento italiano, gli organismi rappresentativi degli studenti universitari, il rifiuto del razzismo.

   Chiedevamo che nella scuola fossero insegnate la Costituzione e la storia degli ultimi decenni (argomenti, allora, tabù). Quella richiesta, che non era solo nostra, venne accolta ufficialmente a partire dall’anno scolastico 1958-59, con la modifica dei programmi di storia e l’introduzione dell’educazione civica, disposta dallo stesso ministro Moro.

   Sollecitavamo anche una riforma degli “esami di Stato”, con l’abolizione della sessione di riparazione e l’attribuzione di un voto unico complessivo che esprimesse un giudizio di maturità (proposte accolte circa dieci anni dopo).

    Nell’ottobre 1959, invece, il ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Medici decretò un appesantimento dei programmi dell’esame di Stato (che allora verteva su tutte le materie dell’ultimo anno), con l’aggiunta di una serie di argomenti degli anni precedenti, tra i quali – per l’italiano – 10 canti dell’Inferno e 10 del Purgatorio, e di “riferimenti” a tutto il resto dei programmi pregressi.

   Reagimmo con uno sciopero nazionale degli studenti medi, di cui il comitato studentesco dell’Augusto fu tra i promotori, protestando soprattutto per la mancanza di un adeguato preavviso, e riuscimmo a ottenere un’applicazione graduale (scaglionata in tre anni) delle nuove disposizioni. L’Augustus  (novembre 1959) registrò il successo conseguito con il titolo “La protesta ha avuto ragione”.

   Così, alla sessione di maturità del 1960, portammo, in aggiunta ai programmi dell’ultimo anno, solo una serie limitata di argomenti del penultimo e del terzultimo anno di corso indicati dal consiglio di classe, evitando i già previsti “riferimenti” (pericolosamente generici).

CONSIGLI MACHIAVELLICI

   A me, personalmente, toccò di esibirmi agli orali sul Machiavelli, autore che mi era ben noto perché… l’Augustus gli aveva dedicato (marzo 1959) questa gustosa parodia di Anna Paggi:

   “Capitolo XVII de ‘Il Professore’ del Machiavelli – Della crudeltà e pietà e s’elli è meglio esser amato che temuto, o più tosto temuto che amato.

    Scendendo appresso alle altre preallegate qualità, dico che ciascuno professore debbe desiderare di essere tenuto pietoso e non crudele. Nondimanco debbe sapere usare della sua generositate, spezialmente contra li sua scholari, da li quali sarà amato quanto nessun altro crudele lo fia.

   Pertanto in qua consistere debbe la sua generositate? Ciascuno professore debbe ampliare e maniche de la giacca et e polsini de la camicia acciocché possa di lui essere detto essere liberale et prodigo di voti, il che li crearà una fama de professore savio et amante de li sua pauperi et miseri discipuli. E quali, vedendosi lautamente compensati de’ sacrifizi de lo studio de le littere, obediranno sempre a quello professore”.

Nicola Bruni

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In questa foto dell’anno scolastico 1958/59 io sono il terzo da destra in alto. Avevo 17 anni e frequentavo il secondo anno del liceo classico.