Conobbi Giorgio La Pira nel settembre 1962, a Firenze. Avevo vent’anni e partecipavo, in rappresentanza degli studenti romani, a un convegno internazionale organizzato dall’Unuri, l’Unione degli universitari italiani, nel Palazzo della Signoria.
Alla seduta inaugurale intervenne il famoso “Sindaco santo” di quella città, che fece sonare “le trombe del Giudizio” – come disse scherzando – da valletti in costume del Rinascimento. Poi si mise a parlare con ampi gesti delle braccia, alternando battute di spirito a citazioni bibliche e ragionamenti sulla costruzione della pace.
Il giorno dopo, lo incontrammo, io e due convegnisti africani, che camminava da solo in una via di Firenze: ci riconobbe, si fermò a conversare piacevolmente con noi, e ci confidò che abitava in un convento.
Scandaloso! Quell’importante leader politico (vissuto dal 1904 al 1977) non possedeva neppure una casa. Professore universitario di diritto romano dal 1934, sindaco di Firenze dal 1951 al 1957 e dal 1961 al 1965, quattro volte deputato, La Pira conduceva una vita ascetica, dormiva in una modestissima cella del convento domenicano di San Marco, ospite dei frati, e destinava gran parte del suo stipendio ai poveri. Cattolico di profonda spiritualità, per lui l’impegno in politica era un modo per aiutare il prossimo e servire il bene comune.
Eletto all’Assemblea Costituente nel 1946, per la Democrazia Cristiana, fu lui a formulare, con Fanfani, Moro, Dossetti, Togliatti, Basso e Calamandrei, i princìpi fondamentali della Costituzione della Repubblica, specialmente nelle enunciazioni che riflettono un’ispirazione personalista, comunitaria e solidarista: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale… E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana…”.
Suo è il testo dell’articolo 1, che definisce l’Italia “una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”: concetto esplicitato dall’articolo 4, nel senso che “la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto“.
Divenuto sindaco di Firenze, La Pira prese sul serio i princìpi della Costituzione: difese energicamente, e con successo, il diritto al lavoro di alcune migliaia di dipendenti di aziende fiorentine, licenziati; affrontò con decisione il drammatico problema dell’alloggio di tremila senzatetto, requisendo ville disabitate, allestendo baracche per l’emergenza, costruendo un nuovo quartiere di case popolari all’Isolotto.
E, soprattutto, interpretò in senso attivo il ripudio della guerra sancito dall’articolo 11, di fronte alla minaccia allora incombente della catastrofe atomica, facendosi promotore di importanti iniziative di dialogo per la pace, non solo tra Est e Ovest ma anche tra Nord e Sud del mondo, in particolare tra i popoli del Mediterraneo, tra cristiani, musulmani ed ebrei, accomunati – diceva – dalla fede in un unico Dio.Riuscì a far incontrare a Firenze rappresentanti di Paesi nemici tra loro e di popoli in guerra. Dava molta importanza ai gesti simbolici di riconciliazione.
Scrisse centinaia di lettere ai potenti della terra, fra i quali Kennedy e Krusciov, e intrattenne una fitta corrispondenza con i papi Pio XII, Giovanni XXIII e Paolo VI, per sollecitarne interventi a favore della distensione internazionale, della giustizia sociale e della liberazione dei popoli.
Compì numerose missioni all’estero come messaggero di pace, anche dopo aver lasciato la carica di sindaco, accolto con rispetto da tutti.A Mosca nel 1959, in piena Guerra fredda, parlò davanti al Soviet Supremo, invitando apertamente Krusciov e gli altri dirigenti comunisti a togliere di mezzo il cadavere dell’ateismo di Stato, così come avevano tolto dal mausoleo della Piazza Rossa il cadavere di Stalin.
A Hanoi, nel 1965, durante la guerra del Vietnam, ottenne da Ho Chi Minh la proposta di un piano di pace, che purtroppo non fu accettata dagli Americani (i quali preferirono essere sconfitti dieci anni dopo, e con tanti morti in più).
Siciliano di Pozzallo (paese di mare in provincia di Ragusa), fiorentino di adozione, mediterraneo per formazione e universale per vocazione, La Pira auspicava un’Europa unita nei valori di fondo dall’Atlantico agli Urali, il Mar Mediterraneo trasformato in un grande e pacifico Lago di Tiberiade, e l’unità fra tutti i popoli del mondo nel riconoscimento delle diversità e della pari dignità.
Molti suoi contemporanei lo deridevano, considerandolo un utopista, un sognatore, un poeta, ma lui non si lasciava scoraggiare: chiedeva alle suore dei monasteri di clausura di aiutarlo con la forza delle loro preghiere, e dialogava anche con i dittatori.
Una volta disse: “Al Signore piacciono i briganti. Se non avesse trovato Saulo, come avrebbe fatto? Basta un nulla e anche un brigante potrebbe convertirsi, cadere da cavallo e diventare un combattente nuovo”. Infatti, così poi è successo all’ex capo del Kgb (la terribile polizia politica dell’Urss) Michail Gorbaciov che, salito al vertice del Cremlino, dette miracolosamente la libertà ai popoli oppressi dal comunismo sovietico, dopo aver posto fine alla Guerra fredda con accordi di pace.
Nicola Bruni
Nella foto in alto, due immagini del Seminario Mediterraneo organizzato dall’Unuri a Firenze nel settembre 1962: a sinistra, Nicola Bruni accanto a un delegato somalo; a destra, il sindaco Giorgio La Pira mentre ascolta l’intervento di una delegata nigeriana.