Con questo articolo mi congedai dalla scuola a giugno del 2005:
Sono giunto alle ultime battute della mia carriera di insegnante di lettere, che avevo iniziato da supplentino ventiquattrenne il 7 gennaio 1966.
Una carriera senza carriera, tra medie e superiori, che non mi ha fatto diventare ricco, ma ha contribuito a rendermi felice, stimolandomi a sviluppare, nel rapporto con i giovani, uno spirito allegramente giovanile e, nella “lotta” contro la “burocratizzazione della funzione docente”, uno spirito ironicamente battagliero.
Lascio la scuola con emozione, con gratitudine verso gli alunni che mi hanno voluto bene, e con il rimpianto di non poter continuare, perché non ho più, ahimé, le energie necessarie per parlare in classe ai ragazzi con voce tonante e farmi sentire anche da… quelli che sono andati al bagno.
In questi quarant’anni, la scuola italiana è molto cambiata: a mio giudizio, complessivamente, in meglio, anche se tra molti difetti, vecchi e nuovi.
Si è democratizzata, si è aperta alla società e alla vita del mondo contemporaneo, si è fatta più rispettosa degli studenti (guai, oggi, a chiamarli “somari”); si è presa cura dei bisogni dei soggetti più svantaggiati; è diventata meno nozionistica, meno selettiva e più formativa; è riuscita ad accogliere quasi tutta la popolazione in età adolescenziale; ha allargato i suoi orizzonti antropologici inserendo con pari dignità nelle classi un numero crescente di alunni stranieri; ha cominciato a usare le moderne tecnologie informatiche.
Sono cambiati anche gli studenti. I quali si sono mediamente “allungati” di statura, costringendo spesso i “prof”, non più sollevati dalla pedana che un tempo innalzava la cattedra, a guardarli dal basso verso l’alto.
Poi, si sono tecnologizzati, al punto di avere in molti casi una competenza superiore a quella dei loro “maestri” nell’uso degli strumenti elettronici.
Per quanto riguarda le studentesse, le ho viste togliersi il grembiule nero, che le aveva discriminate dai maschi fino alla rivolta del Sessantotto, raggiungere la parità nella scolarizzazione e passare alla conquista di un’ampia maggioranza nella categoria dei “primi della classe”.
Sono cambiati perfino i docenti, nel senso che quelli di oggi hanno in media dai 15 ai 20 anni in più, sono molto meno “bocciofili”, e si deve in gran parte a loro se la scuola, tra riforme, mancate riforme e riforme sballate, continua discretamente a rispondere alle esigenze sociali.
Mi ci vorrebbero due o tre libri, per raccontare le mie esperienze professionali più interessanti.
Devo, qui, limitarmi ad alcune battute: le ultime, appunto, da prof in servizio.
Uno dei ricordi più simpatici si riferisce all’anno 1967/68, in cui emigrai da Roma per insegnare a Strangolagalli, un paesino della Ciociaria. Un giorno, una ragazzina mi domandò: “Professó, te piaciono l’asparagi?”. Io, incautamente, risposi di sì. L’indomani, fui sommerso da 18 mazzetti di asparagi selvatici che i 18 alunni di quella classe affettuosa erano andati a raccogliere per me nei campi.
Nicola Bruni
dalla rivista LA TECNICA DELLA SCUOLA – 15 giugno 2005
Nella foto in alto, sono alla scuola media Quinto Ennio di Roma con un gruppo di alunni della classe Prima A 1974/75 della scuola media Quinto Ennio di Roma: da sinistra, Ivano Rizzo, Giovanni Valsi, Enrico Tagliaferri (semicoperto), Paolo Taricone, Stefano Mattei, Ivo Cetroni, Orlando Zaccone (semicoperto), Marco Petta, Davide Antimi.