Il presepe, per i cristiani, è la rievocazione artistica del più grande avvenimento della storia: la nascita – a Betlemme nell’antica Giudea, sotto il dominio romano dell’imperatore Augusto – di Gesù, il Salvatore del mondo, “Dio che si è fatto uomo ed è venuto ad abitare fra noi”. Ed è una rappresentazione simbolica che ripropone visivamente importanti valori morali dell’umanesimo cristiano:
– la sacralità della vita umana nascente, della maternità della donna e della famiglia; – la pari dignità di figli di Dio delle persone umili, i pastori, chiamati per primi ad incontrare Gesù bambino e a ricevere il suo annuncio di salvezza; – la generosità nell’aiutare chi è nel bisogno, come virtù anche dei poveri; – la dignità del lavoro manuale, rappresentato nel presepe dall’attività dei pastori, dei contadini, degli artigiani, dei pescatori, dei venditori; – la pace e la pacifica convivenza fra popoli diversi (nell’annuncio degli angeli “Pace in terra agli uomini che Dio ama”);– l’accettazione dei doni portati dai rappresentanti di altri popoli e culture (i Magi venuti dall’Oriente); – il rispetto e l’amore per la natura creata da Dio (il cielo stellato, la campagna, le montagne, i corsi d’acqua raffigurati nel presepe) e per gli animali, chiamati anche loro (il bue, l’asinello, le pecorelle) a popolare la scena della Natività, per riscaldare con il fiato il Bambinello e fargli compagnia.
Peraltro, la nascita di Gesù avvenne in circostanze drammatiche: Dio volle farsi uomo nascendo come un povero figlio di immigrati senza casa, costretti prima a cercare alloggio in una stalla, “perché non c’era posto per loro nell’albergo” (secondo il Vangelo di Luca), e poi a rifugiarsi da clandestini in Egitto per sottrarsi ad una persecuzione assassina (quella del re Erode che ordinò la “strage degli innocenti”, cioè di tutti i bambini di Betlemme dai due anni in giù).
L’albergo in cui “non c’era posto” per una madre in procinto di partorire (e nessuno le cedette il suo) è il simbolo del nostro egoismo, mentre la “mangiatoia” in cui Maria “depose” il Bambino appena nato è un invito a immedesimarci nelle gravi difficoltà in cui versano tante persone povere.
Quella del presepe è una tradizione natalizia genuinamente italiana e non consumistica, profondamente radicata nella cultura popolare del nostro Paese. La iniziò nel 1223 uno degli italiani più illustri, il più amato nel mondo, San Francesco d’Assisi, realizzando a Greccio (nei pressi di Rieti) il primo presepe con personaggi viventi. Fu lui a mettere nella capanna di Gesù bambino il bue e l’asinello, di cui non parlano i Vangeli.
A ciò si aggiunga – come ha scritto di recente Papa Francesco nella lettera apostolica “Mirabile signum” – che “fin dall’origine francescana il presepe è un invito a ‘sentire’, a ‘toccare’ la povertà che il Figlio di Dio ha scelto per sé nella sua Incarnazione. E così, implicitamente, è un appello a seguirlo sulla via dell’umiltà, della povertà, della spogliazione, che dalla mangiatoia di Betlemme conduce alla Croce. È un appello a incontrarlo e servirlo con misericordia nei fratelli e nelle sorelle più bisognosi”.
Nicola Bruni
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Nella foto di questa pagina, il presepe che ho realizzato per il Natale 2019, con l’aiuto di alcuni studenti, nella scuola media statale Teodoro Mommsen di Roma, dove ho insegnato per otto anni fino al 2005. E’ popolato da circa 250 statuine donate dagli alunni della Mommsen nel corso degli anni, dal 1997 al 2019, nei quali ho costruito con loro il presepe della scuola. Nell’edizione di quest’anno, tra i pellegrini giunti alla capanna della Natività ci sono anche due studenti e un insegnante.