“Niente esami di Stato, tutti promossi per scrutinio”. L’annunciata sanatoria apparve come una fortuna per gli studenti italiani, messi anticipatamente in vacanza il 31 maggio 1940. Era invece il segno premonitore di un’immane sciagura: l’entrata dell’Italia in guerra a fianco della Germania nazista, nel momento in cui questa sembrava avviata ad una vittoria travolgente. Contemporaneamente, si ebbe la chiamata alle armi dei maschi nati nel primo semestre del 1921.
Il 10 giugno successivo, al mattino i giornali titolavano che il “coscritto” Fausto Coppi (militare di leva poi spedito in Africa e fatto prigioniero dagli inglesi) aveva vinto il Giro d’Italia; nel pomeriggio il Duce dichiarava guerra a Francia e Gran Bretagna proclamando davanti a una folla oceanica: “Vinceremo!”.
L’Italia non era preparata a sostenere un conflitto di così vasta portata, a breve distanza dalle usuranti campagne d’Etiopia (1935-36) e di Spagna (1936-39). Mussolini lo sapeva, ma poi si era fatto ingannare dalle bugie megalomani della sua stessa propaganda, illudendosi che gli bastasse “qualche migliaio di morti” per potersi sedere al tavolo dei vincitori. Ne avrebbe ottenuti, invece, con la disfatta della patria, oltre quattrocentomila tra i soli italiani, e nella tragica statistica sarebbe finito anche lui.
Lo scrittore Eugenio Corti, classe 1921, annotò nel suo romanzo storico “Il cavallo rosso”: “La cosa più strana è che [tre mesi dopo la dichiarazione di guerra] le fabbriche continuino a lavorare tutte o quasi con un ritmo di poco superiore al normale. Che l’industria non sia stata ancora sottoposta a un grande sforzo. Questo significa che se davvero siamo entrati in guerra impreparati, continuiamo a rimanerlo. Nessun affare civile verrebbe mai condotto in una maniera così dilettantistica”.
Nicola Bruni