E’ dedicato a Imre Nagy (1896-1958) il più bel monumento di Budapest. Lo scopro, a sorpresa, nel giardino di una piazza attigua a quella del Parlamento ungherese. Raffigura, in bronzo dorato e a grandezza naturale, un anziano signore fermo a metà di un ponticello sovrastante uno specchio d’acqua. Cappotto borghese Anni ’50, cappello tipo Borsalino, ombrello agganciato a un braccio, mani poggiate sulla spalletta, baffi professorali, occhialetti a molla, sguardo triste rivolto verso il punto di approdo.
Quando leggo il suo nome, lo riconosco e mi commuovo. Per le sorti di quest’uomo aveva palpitato il mio cuore di adolescente ai tempi della rivoluzione ungherese del 1956. Per sostenere eroi come lui, e per la liberazione dell’Ungheria dall’oppressione sovietica, avevo fatto il mio primo sciopero di studente ginnasiale, sfidando l’ira di una professoressa che tifava per la parte avversa.
Nagy (pronuncia noghi), già dirigente comunista inquieto, dal 23 ottobre al 4 novembre 1956 era assurto a capo del governo ungherese, aveva abbracciato la causa della rivoluzione democratica, annunciato l’abolizione del regime monopartitico e dichiarato la neutralità dell’Ungheria. Poi, la feroce repressione con i carri armati ordinata da Krusciov, il tiranno di Mosca.
Arrestato a tradimento dai sovietici, che gli avevano promesso un salvacondotto per farlo uscire dall’ambasciata iugoslava dove si era rifugiato, fu impiccato il 16 giugno 1958. La sua condanna a morte era stata approvata, in una riunione di tutti i capi dei partiti comunisti del mondo, anche dal segretario del Pci Palmiro Togliatti. Questi, però, aveva ottenuto che l’esecuzione fosse rimandata a dopo le elezioni politiche italiane del 25 maggio 1958. Così, Nagy è entrato, da martire della libertà, anche nella storia d’Italia.
Nicola Bruni
Articolo pubblicato nella rivista “La Tecnica della Scuola” – 5 novembre 2012
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Post scriptum – Il 28 ottobre 2018 il monumento a Imre Nagy , “l’uomo del ponte”, è stato rimosso dalla piazza attigua a quella del Parlamento di Budapest per ordine del governo di destra di Victor Orbán, e da allora non si sa che fine abbia fatto.