Un boccolo nei capelli è stata una mia caratteristica nei primi anni dell’infanzia. Come si vede in questa foto, che mi ritrae ai tempi in cui ero ancora, come figlio unico, il principino di mamma e papà.
Me lo acconciava, arrotolando il ciuffo centrale a un ferro caldo, il barbiere Tommaso, che aveva la sua bottega sotto casa, in Via Licia, a Roma.
Lo stesso Tommaso, quando divenni più grandicello, era solito tagliarmi i capelli “all’Umberto”, dopo averli “sfoltiti” perché secondo lui ne avevo troppi.
“Chi è questo Umberto?”, mi capitò di domandargli. Mi spiegò che si trattava di un re, di quando “c’era una volta…”,famoso per avere una testa a spazzola.
Il ricordo più antico che ho della mia vita, è quello dell’arrivo dei soldati americani a Roma, la sera del 4 giugno 1944. Allora avevo due anni e sette mesi. Mio padre mi portò in braccio nella vicina Via Gallia, ad applaudire i liberatori della città che passavano con jeep e carri armati. Uno di quei soldati mi lanciò un tubetto di caramelle con il buco, che io presentai trionfalmente alla mamma e poi conservai a lungo come un trofeo.
Mi piaceva giocare da solo, in casa, e mia zia Teresa mi lodava perché riuscivo a mantenere immacolato il golfino bianco che a volte la mamma mi faceva indossare.
Invece, gradivo poco il mangiare, e la tata Caterina, che viveva con noi, mi veniva dietro, mentre giocavo, per imboccarmi nei momenti in cui ero distratto.
Quando, all’età di nove anni, fui operato di tonsille all’ospedale Eastmann di Roma, mi fu imposto il digiuno per un intero giorno, e io ero contento perché finalmente venivo lasciato in pace dalla mia imboccatrice, mentre altri bambini ricoverati reclamavano strillando: “La pastasciuttaaa!”.
Alla scuola elementare andavo “non c’è malaccio”, come diceva il burbero maestro De Sanctis, cioè piuttosto bene, ma avevo un difettuccio fisico (poi svanito con la crescita) che mi metteva in imbarazzo: quando faceva freddo, la punta del mio naso diventava rossa, e alcuni compagni un po’ bulletti ne approfittavano per canzonarmi come “Mastro Ciliegia”.
Io ero stato educato a non proferire mai parolacce, ma poiché – come si dice a Roma – “quando ce vo’, ce vo’ ”, rispondevo “educatamente” a chi mi provocava: “Stròmbolo! Vaffallovo!”.
Nicola Bruni