Ardua impresa mettere d’accordo sulle riforme i partiti della sua maggioranza.
Questa foto, che scattai a Monaco di Baviera nell’estate del 2011, ritrae un atleta ben allenato del surf che cerca di mantenersi in equilibrio sulla cresta dell’onda generata da una piccola cascata del fiume Isar, senza andare né avanti né indietro.
Mi piace assumerla come metafora della straordinaria prova di equilibrismo tra i partiti della nuova maggioranza che Mario Draghi deve affrontare per mantenere la sua figura politica e il suo governo sulla cresta dell’onda di un favore popolare largamente maggioritario. Almeno fino all’elezione, fissata a gennaio del 2022, del nuovo Presidente della Repubblica, carica per la quale lo stesso Draghi è, al momento, la personalità più accreditata.
Il precedente di un altro presunto “salvatore della patria”, Mario Monti, che nel 2011 ottenne la fiducia in Parlamento da una maggioranza ancora più ampia, e poi uscì fortemente ridimensionato dalle elezioni politiche del 2013, dovrebbe indurre a caute previsioni.
E’ verosimile che Draghi riesca, nel corso dei prossimi mesi, ad accelerare il piano delle vaccinazioni, ad assicurare i cosiddetti ristori per le categorie danneggiate dai lock-down, a presentare alla Commissione Europea un plausibile Recovery Plan, ad avviare almeno un parziale sblocco dei cantieri delle opere pubbliche, a mettere in moto un meccanismo più efficiente per l’utilizzo dei fondi stanziati dall’UE, a realizzare una serie di iniziative pratiche, di investimento e di incentivazione per la ripresa dell’economia, che possano trovare tutti d’accordo.
Draghi dovrà, però, accantonare alcune materie controverse, come è già avvenuto riguardo ai 36 miliardi di prestiti aggiuntivi del MES, della cui richiesta Renzi aveva fatto una questione irrinunciabile per il precedente governo.
Ma quando si passerà a discutere delle riforme che l’Unione Europea pretende (giustizia, burocrazia, economia verde, sistema fiscale) per assegnarci effettivamente i 209 miliardi ottenuti sulla carta per l’Italia dal Conte 2, difficilmente Supermario avrà via libera da tutte le componenti dell’eterogenea coalizione governativa, su progetti validi e non di compromesso al ribasso.
Una cosa sono i proclami più o meno retorici, fatti certamente con buone intenzioni dal nuovo capo del governo, come quello su “l’amore dell’Italia che ci unisce tutti”; altra cosa sono gli interessi contrapposti, legittimi e non legittimi, dei partiti, delle lobby che li condizionano, e dei gruppi malavitosi che li infiltrano, e che aspirano a fare bottino di buona parte dei miliardi erogati dall’Europa.
E’ il caso di ricordare che, se “oggi l’unità non è un’opzione, è un dovere” – come ha detto Draghi nel suo discorso di investitura – lo era anche il 13 gennaio scorso, quando Renzi, in piena pandemia e con 500 morti di Covid al giorno, decise di aprire una crisi di governo al buio, che ha fatto perdere tempo prezioso, non per ottenere un cambiamento di programma ma al preciso scopo di destabilizzare l’alleanza tra PD e M5S: cioè per dividere, non per unire gli italiani.
Nicola Bruni