Scattai questa foto ad Anversa, in Belgio, qualche anno fa. Raffigura un bambino che si arrampica su una grande e forte “Mano” di pietra con le dita disposte orizzontalmente a gradini, opera dell’artista polacco Igor Mitoraj (1944-2014). Il fanciullo vuole scalarla, e la Mano gli dà la possibilità di farlo.
Prendo questa immagine come metafora dell’insegnante educatore che “dà una mano” all’allievo per salire nella conoscenza, nell’esperienza di vita, nella formazione della sua personalità, ed elevare in questo modo anche la propria condizione sociale, mentre l’allievo ci mette del suo: la volontà, l’impegno, lo sforzo, la fiducia di farcela.
In questa metafora, io mi rivedo nella mia lontana esperienza di scolaro volenteroso di “salire”, e che è riuscito ad avvalersi del cosiddetto ascensore sociale offerto della scuola.
E ripenso con gratitudine alle persone che, negli anni della mia infanzia e adolescenza, mi hanno dato validamente “una mano” per alimentare la mia autostima e sviluppare la mia personalità: in particolare, i miei genitori, un maestro della scuola elementare, un santo parroco, la prof di lettere del ginnasio, un gruppo di amici più grandi e colti che frequentai negli anni del liceo e dell’università, le pubbliche istituzioni che mi fornirono l’aiuto economico di quattro borse di studio.
Ripenso, inoltre, alla figura ideale di docente di discipline umanistiche che, pur nei miei limiti, mi sono sforzato di impersonare nella mia professione. Una figura somigliante a quella di un papà affidatario che esercita con amore una paternità educativa nei confronti degli alunni affidati temporaneamente alle sue cure dalle famiglie e dallo Stato. Che gli dà il meglio di sé, come farebbe con i propri figli, non per selezionarli e scartare i più deboli, ma per aiutare ciascuno di loro a crescere bene e diventare una persona matura e responsabile. Un docente-papà che insegna, che indirizza, che ascolta, che dialoga, che elogia, che incoraggia, che infonde fiducia, che suscita interessi, che stimola curiosità, che solleva interrogativi, che richiama, che corregge, che perdona, che – alla maniera del papa Giovanni XXIII – respinge l’errore ma non l’errante. Un prof che sorride e fa sorridere, ricorrendo anche alla battuta umoristica per tenere desta l’attenzione della classe. Un maestro che veicola valori morali non predicando in astratto ma raccontando dei fatti e che cerca di educare con la testimonianza della propria vita.
Nicola Bruni