Arrivai a Loreto da Roma con la mia 500 Fiat la sera del 29 luglio 1973, per partecipare a un convegno di studi di professori cattolici dell’Uciim, presieduto dal grande pedagogista Aldo Agazzi.
Al tavolo che mi fu assegnato nel ristorante dei convegnisti, nella Casa San Francesco, ebbi la fortuna di trovare posto di fronte a Elina, una splendida ragazza di Catania, insegnante di Lettere come me.
Ci presentammo cordialmente. Io la guardavo, lei mi guardava. Rimasi subito affascinato dalla sua bellezza, dolce e raffinata; dalla serenità che traspariva dal suo volto; dalla limpidezza del suo sguardo; dal suo modo di parlare pacato; dal suo eloquio da persona colta; dal suo sorriso. Mi piaceva la musicalità che a volte assumeva la sua voce, in particolare quando diceva: “E’ bellìiissimo!”.
Mi domandavo chi fosse l’uomo destinato a godersi quella meravigliosa creatura. Non osavo immaginare che avrei potuto essere io: non mi ritenevo degno di tanta grazia.
D’altra parte, ritenevo impossibile che una ragazza così bella non avesse un innamorato nella sua città. Seppi, poi, che lei pensava lo stesso di me. Invece, avevamo tutti e due, in quel frangente, il cuore libero.
La incontrai di nuovo dopo cena mentre passeggiava sul corso, in compagnia di una collega: teneva in mano un cono gelato. Allora mi ricordai di una canzone, quasi profetica, che mi avevano fatto cantare in coro durante il servizio militare, a Caserta, nel 1968: “Il 29 luglio, quando matura il grano, / ho visto una bambina con una rosa in mano…”.
La “bambina” Elina del mio 29 luglio aveva in mano un simbolo di dolcezza: di una fresca dolcezza che, inopinatamente, mi avrebbe accompagnato per 48 anni della mia vita.
L’indomani andai a visitare il santuario di Loreto e pregai la Madonna che mi facesse trovare il grande amore che cercavo.
Subito dopo, nella piazza antistante incontrai proprio Elina, in compagnia di una collega siciliana. Le dissi che i siciliani mi erano simpatici, e lei mi rispose: “Allora ti voglio bene”.
Da quel momento tra noi due sbocciò un flirt. Cominciammo a frequentarci e ad esplorarci a vicenda. Conversando, scoprimmo piacevolmente di avere in comune educazione, ideali, interessi culturali e impegno sociale, ma soprattutto la fede in Dio e il senso di appartenenza alla Chiesa.
La sera del terzo giorno andammo a visitare il Colle dell’Infinito di Leopardi a Recanati. Io le infilai un fiore di oleandro tra i capelli e, mentre camminavamo tenendoci per mano nella romantica semioscurità di un vialetto alberato, fui fortemente tentato baciarla, ma non ne ebbi il coraggio.
Trovai quel coraggio in extremis, la sera del 3 agosto, alla vigilia della partenza, grazie ad un blackout elettrico che ci immerse nel buio mentre passeggiavamo sotto un porticato per le strade di Osimo. Cominciai a baciarla ripetutamente sulle guance, con un impeto liberatorio, prima di arrivare alle labbra, e lei si abbandonò alle mie effusioni, felice e innamorata.
L’indomani, quando ci congedammo, lei aveva le lacrime agli occhi. Mi disse: “Ora tu ne vai per la tua strada, e io per la mia”. Anche io mi commossi, e le risposi: “Verrò a trovarti a Catania. Forse, chissà, potremmo percorrere la stessa strada”.
Nicola Bruni