Il nostro matrimonio, fissato per il 3 luglio 1974 a Catania nella moderna chiesa di Sant’Euplio, ebbe un prologo drammatico. La partecipazione di nozze, nel classico cartoncino pieghevole a caratteri svolazzanti, attribuiva ai genitori di Elina e di Nicola l’annuncio dello sposalizio.
Il 26 giugno, però, la mamma di Elina fu ricoverata d’urgenza in ospedale per una crisi cardiaca, e sembrava sul punto di morire. Pertanto, corremmo il rischio di dover rinviare la cerimonia a data indefinita. Dopo che gli inviti a un centinaio di persone erano stati recapitati.
Ma, grazie a Dio, i medici dell’ospedale Garibaldi riuscirono, con l’applicazione di un pacemaker, a salvare mamma Antonia. La quale, tuttavia, non avrebbe potuto partecipare all’evento.
Solo il 29 giugno, ricevetti a Roma la notizia dello scampato pericolo. Potete immaginare in quale stato di tensione ansiosa Elina e io avevamo trascorso quei tre giorni.
L’indomani, raggiunsi in aereo Catania. Elina mi condusse dal vescovo vicario dell’arcidiocesi etnea Domenico Picchinenna, che, da amico della sposa, aveva accettato di impartirci il sacramento nuziale. L’anziano prelato ci propose alcuni testi biblici per le letture della Messa, tra i quali il controverso brano della Lettera di San Paolo agli Efesini che recita: “Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; il marito infatti è capo della moglie…”.
Tra noi due non ci fu bisogno di consultarci, per obiettare cortesemente al vescovo che quel brano non ci sembrava coincidente con l’idea paritaria che avevamo dell’unione coniugale, aggiungendo che, secondo noi, San Paolo lo aveva scritto rivolgendosi a un tipo di società diversa dalla nostra. Al che, il monsignore allargò le braccia e ci indicò un altro brano.
Il 3 luglio, festa dell’incredulo San Tommaso, la celebrazione era in programma per le ore 18,30. Poco prima delle 17, la portinaia della casa di Via Caracciolo 104, vedendo arrivare Elina con indosso ancora una veste ordinaria, le domandò preoccupata: “Signurina, chi ssuccirìu?”. Eravamo andati, insieme, a dare un bacio a mamma Antonia ricoverata all’ospedale, prima della festa.
Elina era attesa da una parrucchiera, che le sistemò i capelli con una coroncina, dopo che ebbe indossato velocemente l’abito bianco lungo con strascico. Poi si presentò puntuale in chiesa.
E, mentre l’organo suonava la marcia nuziale, prima fece ingresso lo sposo, al braccio di una raggiante mamma Stella; poi percorse il tappeto rosso fino all’altare la sposa, agganciata ad un commosso papà Carmelo. Quando i due si incontrarono, lo sposo si esibì in un teatrale baciamano alla sposa, immortalato dal fotografo.
La promessa matrimoniale, che pronunciammo davanti a Dio, in presenza del vescovo celebrante e di quattro testimoni, diceva: “Io … prendo te … come mia sposa / mio sposo e prometto di esserti fedele in ogni circostanza, felice o avversa, nella buona o nella cattiva salute e di amarti e rispettarti per tutta la vita”.
Così è stato, tra noi, per 47 anni.
Nicola Bruni