Tornata in Sicilia, Elina si recò direttamente ad un “campo di lavoro” che l’Azione Cattolica aveva organizzato nella valle del Belice, devastata dal terremoto del 1968, allo scopo di programmare iniziative di aiuto alla popolazione locale costretta ancora a vivere nelle baracche.
Di lì, mi inviò la sua prima lettera, nella quale manifestava una cauta speranza che io confermassi il mio amore per lei.
Scriveva tra l’altro: “La sera del 5 agosto abbiamo cenato in aperta campagna. Mentre si cantava e si scherzava, sovente mi sono accorta che guardavo attorno in cerca di Nicola, che a Loreto appariva improvvisamente in mezzo al gruppo.
Ti confesso che avverto il bisogno della tua presenza, senza la quale patisco un senso di vuoto nel mio animo.
Per confortarmi, penso alla gioia che abbiamo provato insieme ad Osimo, quando quella luce ‘galeotta’, spegnendosi al momento opportuno, ci ha permesso di aprirci reciprocamente. Ero stupita per quello che ci stava accadendo, ma felicissima di essere fra le tue braccia.
Il ricordo di quei momenti mi fa pensare al posto che potresti occupare nella mia vita e all’amore che potremmo scoprire insieme. Chissà se hai pensato a questo pure tu e se ancora mi ricordi con lo stesso sentimento! […]”.
Quella lettera mi fu recapitata a Roma solo dopo tre settimane. Nel frattempo, lei era sulle spine, perché, tornata nella sua casa di Catania il 12, non riceveva da me né un messaggio scritto né una telefonata. Non le era arrivata la lettera nella quale scrivevo: “Cara Elina, credo di essermi seriamente innamorato di te…”
D’altra parte, io ero sui carboni ardenti, perché non avevo sue notizie, non riuscivo a comunicare con lei e temevo che il suo innamoramento – dopo i baci scambiati a Loreto – fosse sfumato nella lontananza.
In realtà, io provai più volte a chiamarla, ma poiché avevo annotato un prefisso telefonico sbagliato, 05 invece di 095, la linea risultava sempre occupata.
Finalmente, il 15 agosto mi accorsi dell’errore, azzeccai il numero giusto e mi rispose la sua mamma (che non sapeva nulla della nostra relazione sentimentale). Elina non era in casa e, quando le fu riferito che aveva telefonato “Nicola da Roma”, ebbe “un sobbalzo al cuore”, come mi raccontò il giorno successivo. Si affrettò a richiamarmi, ma per l’emozione, nell’udire dalla mia voce il tanto atteso “ti amo”, provò “un senso di smarrimento” e riuscì a rispondermi soltanto “anch’io”.
Bastarono tuttavia quelle due paroline, che confermavano il suo amore per me, a inondarmi di felicità e di entusiasmo. Quella telefonata aveva sancito il nostro fidanzamento. Potevo cominciare a progettare insieme con lei il nostro futuro.
Nicola Bruni