A casa mia, non c’è Natale senza presepe: lo si è fatto sempre fin dalla mia nascita, a Roma, nel lontano 1941. Quando ero bambino, lo faceva mio padre, inchiodando tavole e pezzi di sughero per costruire le montagne e la grotta della Natività. Di quei primi presepi del tempo di guerra, mi sono rimaste una quindicina di statuine di creta, che continuano a popolare la mia scenografia natalizia: tra queste, il Bambinello, l’asino e il bue, alcune pecorelle, una donnetta che porta sulla testa un sacco di farina.
Eccolo qui, il mio presepe. L’ho fatto semplice e povero, come semplice e povera fu scena reale. E non ho aspettato lo scoccare della mezzanotte del 24 dicembre per porre nella mangiatoia il Bambino Gesù, che è già nato più di 2000 anni fa e che dovrebbe rinascere ogni giorno nei nostri cuori.
Ho collocato il presepe nella stanza di ingresso per far capire subito agli scarsi visitatori della mia dimora – in particolare, ai miei nipotini – che a casa mia si festeggia il Natale di Gesù, non l’arrivo di Babbo Natale, non l’Albero della cuccagna, carico di doni e splendente di luci e di globi luccicanti. Ho rispetto per l’Albero di Natale; quando i miei figli erano piccoli, lo facevo anche io; ma lo sento come un simbolo estraneo alla mia identità culturale, poiché quando io ero bambino, a casa mia, non si faceva e i doni li portava la Befana.
Il presepe della scuola Mommsen
Nel frattempo, ho costruito (con le mie sole mani, a causa delle restrizioni anti-Covid) quest’altro grande presepe nella scuola media statale Mommsen di Roma, continuando una tradizione che io stesso vi introdussi nel 1997 e che ho contribuito a mantenere viva anche dopo la conclusione della mia attività di insegnante di Lettere nel 2005.
Vi è simbolicamente raffigurato lo scenario di una immaginaria Betlemme di oltre 2000 anni fa, con le case, le botteghe degli artigiani, i banchetti dei venditori, la campagna, greggi al pascolo, uno sfondo di montagne, un laghetto alimentato da un torrente, il cielo stellato, e più di 300 statuine donate dagli alunni.
In primo piano, c’è la capanna della maternità di Maria e della nascita del Salvatore, annunciata dagli angeli e dalla cometa. Qui, Gesù bambino, adagiato su una mangiatoia, tra Maria e Giuseppe, un bue e un asinello, accoglie a braccia aperte i visitatori, che affluiscono in gran numero lungo le strade e attraverso i campi.
Dall’Oriente avanzano, con i loro cammelli, i Magi, nelle sembianze di un persiano, di un indiano e di un africano, che faranno da ambasciatori delle diverse culture del mondo davanti al Redentore.
Nicola Bruni