Stalin morì la sera del 5 marzo 1953. Allora io avevo 11 anni. L’indomani in classe, nella scuola media Pascoli di Roma, la nostra insegnante di lettere pensò bene di celebrare il trapasso del “Capo supremo del Comunismo” recitando alcuni versi del “Cinque Maggio” di Manzoni che si adattavano alla circostanza: “Ei fu. Siccome immobile, dato il mortal sospiro… Fu vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza”.
Più tardi, uscendo dalla scuola, lessi sulla prima pagina listata a lutto del quotidiano “l’Unità“, affissa all’edicola di un giornalaio, la sentenza di certi suoi contemporanei che tanto lo avevano ammirato, amato e invocato: “Onore al grande Stalin! Gloria eterna all’uomo che più di tutti ha fatto per la liberazione e per il progresso dell’umanità”.
Poi passai davanti alla sezione di Via Lusitania del Partito comunista italiano, dove c’era una folla di gente commossa che ornava di fiori e lumini rossi una specie di altarino su cui si ergeva una gigantografia del leader sovietico.
Arrivato al portone di casa in Via Licia, vidi la mia portinaia, Linda, una donnetta di mezza età, distrutta dal dolore. Con Stalin, diceva, era morta la sua speranza, una speranza messianica, che lei era solita evocare proclamando in tono vagamente minaccioso: “Ha da venì Baffone!”.
Baffone, ovvero Stalin, impersonava nella sua immaginazione la figura del giustiziere, del salvatore che avrebbe posto fine alla miseria del popolo e ai privilegi dei ricchi, punito le altezzose sgarberie di taluni signorotti, e magari innalzato una poveraccia come lei, costretta a vivere in un buio scantinato, almeno fino… al terzo piano. Come nelle parole del Magnificat: “Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili, ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote”.
A quel tempo gli estimatori e i tifosi di Stalin in Italia erano circa 10 milioni, tra elettori e giovani simpatizzanti del Pci e del Psi, i due partiti della sinistra filosovietica. Tra loro, vi erano importanti “maestri del pensiero” della cultura italiana (scrittori, artisti, docenti universitari, registi cinematografici) e anche due futuri presidenti della Repubblica, Sandro Pertini e Giorgio Napolitano (che poi avrebbero capovolto il giudizio), e due futuri presidenti della Camera, Nilde Iotti e Pietro Ingrao.
Ma “sic transit gloria mundi”, così passa la gloria del mondo. Passarono appena tre anni, e tutti quei “fans” dovettero subire un grosso dispiacere, allorché gli “altarini” di Stalin furono bruscamente rovesciati dal suo successore Nikita Krusciov, al XX congresso del Partito comunista sovietico.
Costui rivelò chi era veramente Stalin: un dittatore dispotico, intollerante di qualsiasi critica, sospettoso, capriccioso e violento, spietato torturatore e massacratore di presunti avversari e “nemici del popolo”, brutale mandante di esecuzioni di massa di innocenti e di deportazioni di milioni di persone, perfino di interi gruppi etnici; crimini inappellabili che diffondevano uno stato di incertezza, di terrore e di disperazione in tutta l’Urss e anche nei Paesi satelliti, controllati dalla polizia segreta staliniana.
Inoltre, Krusciov ammise che per circa trent’anni l’Unione Sovietica si era piegata al culto della personalità di Stalin, glorificato come un superuomo in possesso di doti sovrannaturali simili a quelle di un dio, e come tale ritenuto in grado di sapere tutto, vedere tutto, pensare per tutti, fare qualsiasi cosa ed essere infallibile nella propria condotta.
Quante furono le vittime di Stalin? Secondo lo storico russo Aleksandr Jakovlev, presidente della Commissione per la riabilitazione delle vittime delle repressioni politiche nell’ex Urss, “la cifra ritenuta più attendibile è di venti milioni di morti”. Tra questi, alcuni milioni di contadini ucraini, che Stalin lasciò morire di fame per punizione durante una carestia tra il 1932 e il 1933 poiché avevano resistito alla collettivizzazione forzata delle loro terre. Un genocidio che il popolo ucraino commemora ogni anno alla fine di novembre sotto il nome di Holodomor, che significa morte per fame.
Nicola Bruni