“21 Giugno 1964, oggi è domenica. Il babbo dorme e pure mia sorella. Sono le sei. La mamma si è alzata, io bevo il caffelatte, lei mette il tegamino del pranzo nella cartella. Che strano andare a scuola di domenica e nella cartella al posto dei libri avere del coniglio in umido coi fagioli. Ma la cosa più strana è che ci vado volentieri, non sento il peso di alzarmi… La mamma mi vede partire contento, come non era mai successo prima… Oggi è la prima domenica di scuola della mia vita… Il sole è alto quando arrivo a Barbiana. Entro in aula: è come entrare in un altro mondo. Per me la scuola è iniziata qui. Nove anni, dalla prima elementare alla seconda di avviamento professionale, sono tanti, ma non hanno lasciato traccia, si sono volatilizzati, li ho rimossi. Le bocciature, le umiliazioni, le interrogazioni, i compiti, le facce degli insegnanti, spariti in una nebbia fitta”.
È la pagina di un diario, diventato un libro, nel quale Fabio Fabbiani (1949-2017) racconta la sua esperienza di allievo della straordinaria scuola impiantata da don Lorenzo Milani a Barbiana, uno sperduto borgo collinare del Mugello, in provincia di Firenze. Il libro è stato curato e pubblicato postumo dalla moglie di Fabio, Sandra Passerotti, sotto il titolo: “Non bestemmiare il tempo” (Dissensi Edizioni), espressione con la quale il “Priore” esortava i suoi ragazzi a non sprecare un tempo prezioso per la loro formazione.
Per questo, don Lorenzo faceva funzionare la sua scuola a tempo pieno, mattina e pomeriggio, e per 365 giorni l’anno, anche a Natale, a Pasqua e a Ferragosto, a volte con la partecipazione di esperti in diversi campi del saper fare e del sapere, giunti in visita a Barbiana, e di importanti personalità come Giorgio La Pira o il fisico nucleare Erseo Polacco.
Fabio, passato a Barbiana subito dopo una bocciatura nella scuola statale, annota di non aver fatto mai un’assenza, perché non avrebbe voluto sentirsi dire dal Priore quello che un giorno disse a Franco Buti, mancato per la prima volta dopo anni di assidua frequenza solo a Pasqua: “Franco, tu non sai cosa ti sei perso!”.
E che cosa si sarebbe potuto perdere, saltando un giorno di scuola? Per esempio, come smontare e rimontare il motore di una Fiat 500. O come usare un tornio, sotto la guida del falegname Maurizio, per costruire una sedia di legno, un tavolo, una cassapanca. O come far funzionare una saldatrice, spiegato in pratica dal fabbro Succhino. O lo spettacolo di un cuoco cinese che prepara gli spaghetti come un giocoliere, impastando a mano acqua e farina e dividendo velocemente l’impasto prima in due parti, poi in quattro, in otto, in sedici. O un film interessante, sul quale farsi coinvolgere in una discussione. O una proiezione di diapositive sulla storia dell’arte. O una lezione di teatro del professor Ammannati, che fa recitare agli allievi “La giara” di Pirandello. O una lezione di nuoto, d’estate, nella piccola piscina all’aperto, di 8 metri per 2. O una lezione di sci, d’inverno, quando c’è la neve. O l’osservazione delle stelle con un telescopio in prestito. O una lezione di anatomia, con le ossa umane ritrovate sotto il pavimento sfondato di un magazzino contiguo alla chiesa, antico luogo di sepoltura. O la lettura dei giornali, per capire ciò che avviene in Italia e nel mondo. Oltre, ovviamente, a nozioni di italiano, storia, geografia, matematica, scienze, tecnologia, inglese, francese…e ai discorsi di educazione civica e morale del Priore che “aprono la mente” e aiutano a “tenere alta la testa”.
Un insegnamento di don Lorenzo che ha positivamente orientato la vita di Fabio era sintetizzato nella formula inglese “I CARE”, scritta in rosso su una parete della scuola: significa “Me ne importa, mi sta a cuore” (il contrario del motto fascista “Me ne frego”), e richiede un’assunzione di responsabilità personale, attraverso un impegno politico, sindacale, culturale o di volontariato sociale, per contribuire al bene comune, aiutare i più deboli e combattere contro le ingiustizie.
Nicola Bruni