«Carissimo amore mio, il desiderio di averti vicino si fa sempre più struggente», mi scriveva Elina il 24 novembre 1973 in una lettera da Catania, la sua città, dopo il fidanzamento ufficiale che avevamo celebrato appena un mese prima con la mia famiglia a Roma.
E proseguiva così: «Né le splendide giornate di questo bellissimo novembre, né i colori smaglianti della natura, che sono solita contemplare, né le mie consuete occupazioni giornaliere riescono a colmare il senso di solitudine che provo stando lontana da te. Tutto quello che, prima di conoscerti, dava un valore alla mia vita, adesso non mi soddisfa più, perché – è veramente straordinario! – la mia vita sei tu.
In questi giorni ho cominciato a “deprofessionalizzarmi”, imponendo a me stessa di non considerarmi “la professoressa”, ma la tua fidanzata. È una fatica che mi costa, capirai, abituata a quel ruolo ormai da 11 anni [allora, lei ne aveva 34]. E i risultati sono lusinghieri, perché, messa da parte quella parvenza di austerity, sono più spontanea e divento più gradevole.
Sai che sei riuscito a farmi odiare i tailleur? Questo per te è un bel successo, ma anche per me, perché essere più donna, e meno professionista, non mi dispiace affatto.
Da lunedì sto girando per le boutique, per rinnovare il mio guardaroba… Debbo fare molta attenzione nella scelta dei capi da indossare, per essere ammirata e ottenere l’approvazione del mio “difficilissimo” Nicola».
Le risposi: «Non preoccuparti troppo dei vestiti. Quello che conta è la personalità che c’è dentro, e la tua è per me una personalità incantevole».
Nicola Bruni