Io che tatuaggi non ne ho, sono andato al mare, e ne ho visti tanti e di tante forme diverse, sulla pelle di uomini e donne di ogni età e condizione sociale. Dal piccolo sgorbio – praticamente una macchia – sul polso sinistro dell’anziana casalinga (quanto basta per dire “Ce l’ho anch’io, sono moderna”) al corpo quasi totalmente ricoperto – viso e cranio rasato compresi – del palestrato cinquantenne (che sembra ostentare un “Come me non c’è nessuno”).
Tra i motivi iconografici più ricorrenti ho notato: fantasie allegoriche, geometriche o di arte astratta, cuori, farfalle, fiori, ghirlande, bracciali, stelle, croci, aquile, draghi, uccelli, pesci, cavalli, ancore, segni zodiacali, ragnatele ai gomiti, figure mitologiche e simboli di vario tipo.
Alcuni tatuaggi contengono testi scritti: dichiarazioni di amore, nomi di persone, motti filosofici, versi poetici, date in numeri romani, parole in caratteri giapponesi.
Una particolare tipologia femminile è quella di fiori, fiamme o ali che emergono dallo slip e che sembrano alludere talora a una vagina fiorita, talora a una vagina ardente, talora a natiche volanti (aeronatiche).
Riflettendo su questo dilagante fenomeno di costume, incentivato dall’esempio di personaggi famosi, mi sono posto una serie di domande, che giro ai lettori. Mi piacerebbe che qualcuno degli interessati mi desse la sua personale risposta.
Innanzitutto, che cos’è che spinge una persona a legare per tutta la vita la sua identità a un disegno tracciato con inchiostro indelebile sulla propria pelle e destinato a deteriorarsi con l’avanzare dell’età? Un disegno che se poi venisse a noia – sempre lo stesso – o risultasse addirittura imbarazzante (come per un amore finito), si potrebbe cancellare solo al prezzo di un lungo e costoso intervento chirurgico.
Aspirazione a fare del proprio corpo un’opera d’arte?
Bisogno di fissare e rendere incancellabili sulla pelle importanti ricordi della propria vita?
Desiderio di attirare l’attenzione e presunzione di apparire più elegante o più interessante?
Adeguamento acritico a una moda, ovvero al principio del “così fan tutti”?
Anticonformismo nei confronti di quei “benpensanti” che considerano i tatuaggi una forma di autolesionismo e un’alterazione dell’ecologia umana?
Feticismo superstizioso, nella convinzione che il tatuaggio porti fortuna o scacci la iella?
Ex-voto di scambio (del tipo “Se vinco… me ne faccio uno grosso così”)?
Perché molti tatuaggi sono posizionati sul “lato B” del corpo, dove il titolare non li può vedere? Forse rappresentano il simbolo di qualcosa che si vuole lasciare alle spalle? O forse gli si attribuisce la funzione apotropaica di tenere lontani pericoli e minacce che potrebbero venire da dietro?
Con quale criterio, in molti casi, si sceglie, in alternativa, il lato destro o il lato sinistro o la parte centrale del corpo per la collocazione del tatuaggio? Che c’entri la politica? Sei di destra, tattoo a destra; sei di sinistra, tattoo a sinistra; sei di centro, tattoo al centro; non sei “né di destra, né di sinistra, né di centro”, tattoo da tutte le parti. Sto scherzando.
Infine, ho constatato che, salvo eccezioni, chi si è tatuato non porta una catenina d’oro al collo: che se la sia venduta per pagarsi il tattoo?
Nicola Bruni