Il razzismo coloniale italiano in Etiopia

Il regime fascista emanò leggi razziste non solo contro gli ebrei ma anche contro i sudditi delle colonie africane, che furono discriminati “a casa loro”. In particolare, il Regio decreto 19 aprile 1937, n. 880, intitolato “Sanzioni per i rapporti d’indole coniugale tra cittadini e sudditi”, riconosceva al colono italiano in Africa la necessità di “espletare i suoi bisogni fisiologici” con le indigene, ma puniva con la reclusione fino a 5 anni quella che veniva definita “unione di letto e di desco”, cioè una convivenza di tipo coniugale, che avrebbe rischiato di stabilizzare le coppie, creare famiglie e portare a una società multietnica.

I coloni italiani, tuttavia, continuarono lo stesso ad avere rapporti con le “indigene”, a tenersele in casa come “madame” (fu il caso di Indro Montanelli, che raccontò di aver acquistato una bambina di 12 anni come sposa temporanea), a volte perfino a volere loro un po’ di bene, e soprattutto continuarono a generare figli meticci. Perciò, con la legge del 13 maggio 1940 n. 882, “Norme relative ai meticci”, si proibì agli italiani di riconoscere i figli avuti da relazioni con donne africane, ottenendo il risultato di creare una generazione di “bastardi” destinati al disprezzo sociale. La cittadinanza italiana veniva riconosciuta solo a chi l’avesse ottenuta prima della guerra.

Si calcola che nella sola Eritrea, su circa 15mila nati da coppie miste, meno di 3mila siano stati riconosciuti da padri italiani.

Inoltre, agli africani delle colonie veniva negato il diritto all’istruzione oltre la quinta classe, mentre veniva consentito il loro sfruttamento lavorativo senza alcuna tutela legale.

È un po’ quello che succede oggi in Italia, quando si nega il permesso di soggiorno a tanti immigrati irregolari che hanno trovato un lavoro, mentre si chiudono tutti e due gli occhi sull’illegalità del loro sfruttamento schiavistico nelle campagne, perché ritenuto “necessario” alla nostra economia. E quando si disprezzano i “neri” per un pregiudizio razzista e si grida alla cacciata degli immigrati “clandestini”, mentre si tollera la schiavizzazione delle prostitute africane anche minorenni (una prostituta su 3 in Italia è nigeriana) perché ritenuta “necessaria” al soddisfacimento dei “bisogni fisiologici” di alcuni milioni di clienti maschi italiani.

Ancora oggi ai discendenti etiopi dei nostri colonizzatori “imperiali” si continua a negare il diritto alla cittadinanza italiana, che invece viene riconosciuto per esempio ai nipoti e pronipoti di italo-argentini.

Di questo, Giorgia Meloni non è andata a discutere con il primo ministro di Addis Abeba, ma di come lo si possa aiutare a bloccare le partenze di chi scappa dalle sue guerre e dalla sua dittatura.

Nicola Bruni

*

Nella foto, una vignetta d’epoca sul colonialismo italiano in Africa Orientale.

Lascia un commento