Si chiamava Stella la mia mamma (1907-1984) e non aveva una santa canonizzata in Paradiso per poter festeggiare l’onomastico. Perciò, noi figli avevamo dato al 27 agosto, giorno del suo compleanno, il nome di Santa Stella, alludendo al fatto che la santa di casa era lei.
Il mio papà, Peppino, si rivolgeva a lei con il diminutivo di Stellina. Un giorno, a Roma, la commessa di un negozio, sentendola chiamare con quell’appellativo, le disse: “Com’è affettuoso suo marito, che le dice stellina!”. Al che, lei rispose: “Sì, è affettuoso, ma Stellina è il mio nome”.
Al suo paese di origine, Arena in Calabria, dove aveva lavorato come fotografa, la chiamavano Donna Stellina. A 33 anni, nel febbraio 1941, sposò Peppino, maresciallo dell’Esercito in servizio al Ministero della Guerra, e si trasferì con lui a Roma. Nove mesi dopo, venni al mondo io, partorito in casa come primogenito di tre figli. Seguirono Mariuccia nel 1943 e Antonio nel 1946.
Mamma Stella amava ripetere che “i figli so’ pezzi ‘e core”, facendo proprie le parole di Filumena Marturano, personaggio di una commedia di Eduardo De Filippo. E ci ha fatto crescere sani, comunicandoci il suo amore e il suo buonumore, trasmettendoci la fede cristiana, dandoci l’esempio della sua vita, incoraggiandoci nelle difficoltà, seguendoci negli studi, sopportando grandi sacrifici insieme con papà per consentirci di arrivare, tutti e tre, alla laurea.
Abitavamo a Via Licia, quartiere Latino Metronio di Roma, in un appartamentino affittato di due camere, cameretta, ingresso, cucina e bagno. Poiché lo stipendio di papà non bastava, negli anni “magri” del dopoguerra, la mamma si mise a lavorare in casa come maglierista, dopo aver acquistato di seconda mano una macchina per la tessitura della lana. Imparò il mestiere facendo tirocinio in un laboratorio privato, e confezionava dei bei capi, che esponeva in parte nelle vetrine di una merceria.
Ovviamente, vestiva di “pura lana” anche noi figli, di solito sulla base di misure calcolate “in crescenza”, perché gli indumenti potessero durare. E tagliava e cuciva anche come sarta, per uso familiare, riciclando i vestiti.
Stella aveva un carattere gioioso e uno spiccato senso dell’umorismo. Manteneva l’allegria in famiglia, anche negli anni di ristrettezze economiche del dopoguerra – quando in casa a Roma non avevamo neppure la radio -, cantando, lanciando battute spiritose, narrando in maniera coinvolgente storielle divertenti (come le avventure di Giufà) a noi bambini, intrattenendoci con la lettura settimanale del Corriere dei Piccoli.
La sua canzone preferita era quella della sciatrice, che le dava l’idea di una donna emancipata e in ascesa: “Signorinella, / pallida e snella, / getta la tua gonnella, / la tua pelliccia di vison, / mettiti i pantalon! / Si va sulla montagna / dove la neve il volto ci abbronzerà… / Salir, sempre salir / mentre ogni valle canta cosi: / Sci… sci! / Sciator, riprende il vento, / solo ardimento il tuo motto sarà!”.
Nicola Bruni