Ho ritrovato in soffitta alcuni miei quaderni della scuola media, custoditi in uno scatolone. Risalgono agli anni 1952-1955, quando frequentavo l’istituto Giovanni Pascoli di Roma.
Ne apro uno con la classica copertina nera lucida e la bordatura dei fogli dipinta di rosso. È il quaderno a righe, e margini delimitati, dei temi e dei riassunti di italiano della II A, che io compilai usando una penna con pennino innestato, intinta di inchiostro blu nel calamaio a vaschetta fissato sul banco.
Al suo interno, era nascosto un foglio di carta assorbente, che serviva ad asciugare la scrittura fresca ed evitare sbavature e macchie.
Ogni pagina è suddivisa in due settori da una riga verticale tracciata a penna, che riservava una colonna sulla destra di circa tre centimetri alle correzioni e annotazioni dell’insegnante.
Il primo componimento si intitola “La mia persona e i miei pensieri” e comincia così:
“Io mi chiamo Bruni Nicola, ho quasi dodici anni, i capelli e gli occhi castani, sono alto un metro e quarantaquattro e sono un po’ magro…”.
La maggior parte degli altri elaborati di quel quaderno è dedicata a riassunti e versioni in prosa di brani dell’Iliade nella traduzione di Vincenzo Monti. “Che pizza, a quell’età!”, mi viene oggi da commentare.
Ma ce n’è uno, datato 11 aprile 1954, che mi ha commosso: “Se il mio banco potesse parlare”.
Fatta una premessa, scrivevo che quel banco mi avrebbe detto: “Caro ragazzo, tu ora mi vedi così vecchio e rovinato, ma tanti anni fa, prima che tu nascessi, io ero un robusto abete e vegetavo felice nella campagna. I viandanti si fermavano sotto la mia ombra fresca, gli uccelli si posavano sui miei rami poderosi e vi ponevano i loro nidi. D’inverno, la mia chioma si inargentava di candida neve.
Ma un brutto giorno fui reciso, privato dei miei rami, spogliato della mia corteccia e trasformato, da un falegname, in un lucido banco di scuola.
A poco a poco mi sono abituato a questa nuova vita e, ascoltando molte lezioni, ho imparato tante cose. Ho avuto la fortuna di trovarmi, come oggi, nella prima fila e, quindi, ho potuto provare l’orgoglio di ospitare molti bravi ragazzi.
Ora, dopo tanti anni di vita scolastica, sono invecchiato, e ho incise nel legno varie scritte e iniziali, ognuna delle quali è per me un caro ricordo. Ho la spalliera malferma e la vernice scorticata, ma spero che tu non mi disprezzerai per questo, anzi considererai questi miei segni come decorazioni per tanti anni di servizio”.
In un altro quaderno, della terza classe, tornai sull’argomento, raccontando il primo giorno di lezione nel moderno edificio scolastico di Via Sibari, dove si era appena trasferita la scuola Pascoli. Era tutto nuovo e ben funzionante, tranne i banchi fissi a due posti risalenti a prima della guerra, che erano stati riverniciati di grigio.
Scrivevo: “Poiché il continuo scricchiolio dei banchi disturbava la lezione, la professoressa di lettere ha fatto suonare due volte il campanello per chiamare un bidello, il quale finalmente è venuto e si è impegnato a dargli una inchiodatina”.
Banchi scomodi, antigienici e scricchiolanti come quelli hanno poi continuato a “deliziare” la mia vita di studente fino all’esame di maturità.
Nicola Bruni