Ho beneficiato, nella mia famiglia di origine, dell’influsso di due grandi donne, belle di aspetto e nell’animo, forti di carattere e di un’intelligenza ingegnosa: la mia mamma, Stella Cesarelli, e mia sorella Mariuccia, più giovane di me di 20 mesi. Per loro ho nutrito non solo amore filiale e fraterno ma anche profonda ammirazione, al punto che da adolescente le prendevo a modello della persona che avrei voluto sposare. Con loro, voglio ricordare la dolcissima “tata” Caterina, che è vissuta con la mia famiglia ed è stata per me una seconda mamma.
Di qui, la considerazione e il rispetto che ho sempre avuto per l’universo femminile. Un rispetto, che associato alla mia timidezza, ha fatto sì che io, mentre ero alla ricerca di un grande amore, esitassi nel dichiarare i miei sentimenti a qualcuna delle ragazze che frequentavo come amica e per la quale provavo attrazione.
Ero trattenuto da un duplice timore: quello di deludere l’innamorata qualora poi mi fossi stancato di lei, e quello di ricevere un diniego che avrebbe ferito il mio orgoglio e rotto l’amicizia. Ero rimasto scottato da due delusioni amorose, dopo aver scoperto in entrambi i casi che la ragazza della quale mi ero invaghito aveva il cuore già impegnato. D’altra parte, non ho voluto prendermi gioco, per un divertimento effimero, dei sentimenti di alcune mie colleghe studentesse della facoltà romana di Lettere che mi corteggiavano con una certa insistenza.
Avevo deciso che non mi sarei fidanzato fino a che non fossi sicuro che quella sarebbe stata la scelta definitiva. Come ha voluto la Divina Provvidenza, ho saputo aspettare fino all’approssimarsi dei miei 32 anni, quando, nell’estate del 1973, la scelta definitiva arrivò in maniera fulminea a Loreto, dove incontrai Elina, proveniente da Catania, in un convegno di studio di professori cattolici. Dopo cinque giorni di un’idilliaca frequentazione, la sera del 3 agosto, con la complicità di un blackout elettrico, ci abbandonammo al primo bacio. Ci eravamo innamorati con tale convinzione che decidemmo di sposarci dopo appena 11 mesi di fidanzamento.
Da sposi novelli, abbiamo attraversato una fase di reciproco adattamento durante la quale si sono contemperati e armonizzati i nostri caratteri. E con l’aiuto di Dio il nostro amore si è potuto mantenere vivo e intenso per 47 anni “nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia”, fino alla morte di Elina, avvenuta l’8 agosto 2021.
Prima di quel fatidico incontro, per circa venti anni della mia adolescenza e gioventù, l’amore per me è stato un ideale da raggiungere. E ho cercato di compensare la sua mancanza coltivando via via numerose amicizie femminili, puramente platoniche, due delle quali resistono tuttora al susseguirsi dei decenni.
Durante il periodo universitario, i miei amici, vedendo che alle feste da ballo alle quali partecipavo con loro mi facevo accompagnare quasi sempre da una bella ragazza diversa, della mia facoltà di Lettere, mi domandavano con una punta di invidia: “A Nicò, ma che je fai a le donne?”. Io rispondevo a tono: “Gnente! Le porto a ballà”.
Un’importante esperienza di confronto con il genere femminile, durata cinque anni tra il 1969 e il 1974, e che ha arricchito la mia formazione umana, l’ho avuta da giovane professore dell’istituto tecnico Margherita di Savoia di Roma, frequentato soltanto da ragazze. Pur intrattenendo rapporti amichevoli con le 250 allieve che si sono avvicendate nelle mie classi, sono riuscito a mantenere le dovute distanze sul piano sentimentale, e a resistere alle provocazioni, per esempio, di chi mi diceva: “Professore, lei la sposerebbe una come me?”.
Allora non immaginavo che, 40 e passa anni dopo, una settantina di quelle “Margheritine” sarebbero rifiorite come amiche attorno a me, grazie a Facebook, e mi avrebbero fatto ringiovanire riportandomi indietro nel tempo.
Nicola Bruni
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Nelle foto: mia moglie Elina (a 36 anni, nel 1976), la mia mamma Stella (1907-1984) e mia sorella Mariuccia (1943-2000).