È passato un anno dalla morte di Anita Buffarini, che fu una mia bravissima alunna all’Istituto tecnico femminile Margherita di Savoia di Roma nel 1971/72.
Romana, sposata con Gianni Lisi, mamma di Anna Valeria e Corrado, aveva 66 anni e si era ammalata di un tumore comparso all’improvviso nell’agosto del 2022. Dopo il diploma di maturità aveva lavorato in una banca fino alla pensione.
Ci eravamo ritrovati nel 2015 con molte sue compagne di scuola, grazie a Facebook, e da allora avevamo partecipato insieme a una serie di incontri conviviali in pizzeria e a visite culturali nella città di Roma, da me organizzati per il Club delle Margheritine. Ci sentivamo spesso e ci scambiavamo messaggi su WhatsApp.
Anita era una bella persona, con una profonda spiritualità religiosa e molti interessi culturali. Aveva composto un romanzo inedito, decine di racconti e delicate poesie. Scriveva molto bene, in maniera fluente, ed era orgogliosa di fornirne degli assaggi ad un suo antico professore di italiano.
Ora i familiari hanno pubblicato una parte dei suoi scritti in un volume di 180 pagine, intitolato “Le case che mi abitano” con l’aggiunta del sottotitolo “e altri racconti”.
Il romanzo narra, con gustosi particolari d’epoca, una saga familiare che si è sviluppata tra il 1956 e il 2016 passando per otto diverse abitazioni.
Nei “racconti”, sono tratteggiati con umorismo i caratteri bizzarri di alcuni personaggi incontrati da Anita la mattina presto sull’autobus 90, nel tragitto tra casa e ufficio.
Ho letto il libro con la sensazione di assistere alle vicende narrate e di ascoltarne il racconto dalla voce di quella cara amica, trovandolo molto bello e divertente.
Mi ha incuriosito apprendere, tra l’altro, che la sorella maggiore di Anita fu chiamata Cynthia per imitazione del personaggio interpretato da Ava Gardner nel film del 1952 “Le nevi del Kilimangiaro”. Che la sua mamma, per ogni “grazia ricevuta”, si atteneva ad un voto fatto in precedenza: come non truccarsi più per sempre, non mangiare gelati per un’intera estate, mettere al mondo un quarto figlio. Che i bambini venivano sottoposti al “rito della purga”, per il “cambiamento d’aria”, quando la famiglia si trasferiva in vacanza a Porto Recanati. Che, in assenza di lavatrici, i panni si lavavano nel lavatoio della terrazza a turno, una volta alla settimana. Che a casa della nonna, in un palazzo antico privo in origine di servizi igienici, il gabinetto era posto in un bugigattolo su un balcone. Che la portiera Brigida faceva anche le punture e ogni mattina andava a “sbucacchiare i sederi” di molti condòmini.
Il succo principale dell’opera letteraria di Anita mi sembra condensato in una frase che trovo a pagina 144: “Ricordiamoci che accontentarsi è il primo segreto della felicità”.
Nicola Bruni