In questa foto, un po’ sfocata, si vedono alle mie spalle due cartelloni, affissi nell’aula della Seconda D della scuola media Mommsen di Roma nel 2004-2005, sui quali trascrivevo con un pennarello i vocaboli “nuovi” incontrati dai miei alunni durante le lezioni e dei quali di volta in volta dettavo le definizioni: per esempio, antropomorfo, pseudonimo, omonimo, versatile, loquace, adulatore, famigerato, omissione, reticenza, cinismo, mistificazione, deficit, cassa integrazione. Ogni tanto li ripassavo interrogando la classe sul loro significato. Come ho sperimentato, è un metodo che funziona.
Don Lorenzo Milani, il celebre maestro della Scuola di Barbiana, sosteneva nel 1967 che è la conoscenza della lingua che rende uguali, e portava questo esempio: “Un operaio conosce 100 parole, il padrone 1000. Per questo lui è il padrone”. Oggi il mondo è cambiato, ma le 900 parole in più che separavano l’operaio dal padrone sono ancora quelle che fanno la differenza tra un lavoro mal pagato e uno migliore.
Perciò uno degli obiettivi didattici prioritari che perseguivo come insegnante di italiano puntava a fare in modo che ciascun alunno arrivasse a conoscere e a saper usare con proprietà, per esprimersi e per capire il mondo, almeno 1000 parole del nostro vocabolario.
Nicola Bruni