L’ode manzoniana del “Cinque maggio”, studiata da molte generazioni di italiani, costituisce il più autorevole supporto della “gloria” riconosciuta al “grande còrso” dalla tradizione culturale del nostro Paese.
Manzoni si interroga se “fu vera gloria”, fingendo di lasciare “ai posteri l’ardua sentenza”, ma intanto emette una sua personale sentenza, di piena assoluzione, glorificazione e santificazione.
Infatti, si dichiara “commosso al subito sparir di tanto raggio”, manifesta una sconfinata ammirazione per le guerre, le vittorie, le conquiste di Napoleone (tacendo “ogni ria parola” sui ben noti massacri, le violenze, le razzie, i sacrilegi), vede impressa in lui una “più vasta orma” dello spirito creatore di Dio (anziché del demonio), considera un “trionfo” per la “Fede” che una così “superba altezza” (caduta tanto in basso da imprigionare due papi) si sia inchinata nella sua “ultima ora” di fronte alla croce di Cristo, e infine “avvia” l’anima di quell’innominato “ai campi eterni, al premio che i desideri avanza” senza neppure farla passare per il Purgatorio.
L’autore si domanda, anche, “quando una simile orma di piè mortale la sua cruenta polvere a calpestar verrà”. In effetti, il prodigio accadrà circa 120 anni dopo la composizione dell’ode, allorché il Führer del Terzo Reich emulerà le gesta dell’Imperatore dei Francesi facendo invadere dalle sue armate… buona parte dell’Europa, compresa la Russia, e ridicolizzando il record mondiale di appena quattro milioni di morti causati dalle guerre napoleoniche.
Più in là negli anni, lo stesso Manzoni avrebbe ammesso che quel suo “Cinque maggio” era una “corbelleria”,ma la cultura ufficiale non avrebbe preso sul serio la tardiva autocritica.
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Il bonapartismo, lasciato in eredità politica ai posteri da Napoleone, è un mix di atteggiamenti e comportamenti che caratterizzarono l’ascesa del Bonaparte: megalomania e spregiudicata ambizione di potere, bellicismo mascherato da aspirazione alla pace, imperialismo di rapina e sfruttamento propagandato come liberazione dei popoli, arrogante imposizione della legge del più forte e del diritto di conquista, insofferenza per la libertà di stampa e per le assemblee elettive, dittatura e dispotismo ammantati di maestà imperiale, opportunistico tradimento di ideali proclamati (repubblica, libertà, indipendenza, uguaglianza), cinico disprezzo delle vite umane e dei diritti dei popoli, egocentrismo politico e pretesa di impersonare lo Stato, nepotismo, narcisismo e capacità di vendere molto bene la propria immagine.
C’è, d’altra parte, tra gli storici, chi considera Napoleone un mostro, il più grande assassino di tutti i tempi fino al XIX secolo, un “fallito” che dopo aver vinto cento battaglie lasciò la Francia con “un pugno di polvere”.
Antonio Spinosa, nel libro “Napoleone il flagello d’Italia” (Mondadori 2003), racconta le barbariche spoliazioni a cui sottopose il nostro Paese, a cominciare dal trafugamento di migliaia di opere d’arte, le fucilazioni in massa di ribelli e renitenti alla leva, le stragi di innocenti compiute per rappresaglia, gli orribili saccheggi delle città, delle campagne, perfino delle chiese. I nazisti, quando s’impadronirono dell’Italia, fra il 1943 e il 1945, presero molti esempi da lui, dimostrandosi però meno rapaci.
Eppure, alla scuola elementare, il mio maestro ci diceva che dovevamo essere orgogliosi di Napoleone perché era italiano. Infatti… il libro di Spinosa riporta alcune frasi, tratte da lettere autografe, che rivelano quali fossero i suoi sentimenti di italianità: “Non fate mai dimenticare agli italiani che io sono il padrone… Fate fucilare senza pietà i lazzaroni… Soltanto con un salutare terrore riuscirete a imporvi al popolaccio italiano…”, scriveva ai suoi proconsoli quel gran figlio di… italiani.
Nicola Bruni