La secessione dei ricchi

Più di metà degli elettori non è andata a votare nelle elezioni europee 2024, ma intanto un’ampia maggioranza parlamentare, espressione del 43,79 per cento dei voti validi del 2022, ha approvato una riforma che stravolge la Costituzione della Repubblica, introducendo l’elezione diretta – anche con un solo voto in più – di un capo del Governo praticamente con pieni poteri. Di un presidente del Consiglio che potrebbe essere eletto anche con meno del 30 per cento dei suffragi, portandosi automaticamente in dote una schiacciante maggioranza di seggi alla Camera e al Senato.

Questa riforma costituzionale sicuramente non passerà nel referendum popolare confermativo, perché la destra non ha la maggioranza dei voti. Giorgia Meloni lo sa e ha già messo le mani avanti dicendo che comunque non si dimetterà; e, tuttavia, continuerà ad agitare fino all’ultimo la bandierina del “premierato”, con gli slogan di un Governo stabile e scelto dal popolo, come “arma di distrazione di massa” dai problemi irrisolti.

Più preoccupante è, invece, la riforma dell’autonomia differenziata, voluta dalla Lega e bollata dall’opposizione come “Secessione dei ricchi”, perché potrebbe uscire indenne dall’annunciato referendum abrogativo a causa di un prevedibile mancato raggiungimento del quorum del 50 per cento di votanti. 

Questa legge, che applica in maniera distorta il Titolo V della Costituzione, consentirebbe ad ogni Regione di devolvere a sé importanti competenze dello Stato e di trattenere la maggior parte delle imposte pagate nel proprio territorio, con la conseguenza che le Regioni del Nord, più ricche, diventerebbero ancora più ricche, mentre quelle del Sud, più povere, perderebbero parte del sostegno governativo in materie essenziali come la sanità e la scuola. E sebbene la legge preveda che siano garantiti sul tutto il territorio nazionale i “livelli essenziali delle prestazioni”, ciò non toglie che, per esempio, la Lombardia possa ottenere livelli quattro volte più alti della Calabria. Di conseguenza, il divario economico e sociale tra il Nord e il Sud d’Italia potrebbe notevolmente accentuarsi.

La terza riforma “lottizzata” tra i partiti di governo, quella della giustizia, concessa agli eredi politici di Berlusconi, dovrebbe servire principalmente a sottoporre i magistrati inquirenti al controllo del Governo, separando le loro carriere da quelle dei giudici, ma non servirà a risolvere il problema delle lungaggini dei processi né quello del sovraffollamento delle carceri, per i quali non si intravedono novità di rilievo.

Al di là delle “bandierine” di propaganda, la politica del Governo Meloni è sostanzialmente inerte o complice di fronte allo scandalo dell’enorme evasione fiscale, allo scandalo dello sfruttamento schiavistico dei lavoratori irregolari nelle campagne, allo scandalo delle quotidiane morti sul lavoro, allo scandalo dei migranti lasciati affogare nel Mediterraneo per omesso o impedito soccorso o costretti a tornare nei lager dei torturatori libici su motovedette donate dall’Italia.  

Su quest’ultimo scandalo, i sorrisi di “Giorgia” nascondono un cinismo razzista di fondo, che non considera quei poveri migranti dalla pelle scura come esseri umani.

Nicola Bruni