La sera del 25 luglio 2024 sono andato con mio figlio Paolo per assistere alla Turandot di Giacomo Puccini nel teatro all’aperto delle Terme di Caracalla. Mi è piaciuta la musica, ma non la messa in scena elettronica con effetti allucinanti di Massimiliano e Doriana Fuksas, che mi è sembrata una “americanata” per turisti d’oltreoceano. E ho trovato assurda la trama dell’opera, che è stata rappresentata incompiuta così come la lasciò Puccini morendo prima che la gelida e crudele principessa cinese Turandot abbracciasse il principe straniero suo spasimante.
Questo aveva sfidato il rischio della decapitazione se non avesse sciolto tre difficilissimi enigmi ideati da Turandot come condizione per concedergli il suo amore, e aveva vinto.
In scena, compaiono due Turandot: la prima è una ragazza che non canta ma si isola davanti al computer e inventa la sua storia come un videogioco; l’altra è un’obesa e monumentale principessa-soprano, di cui non si capisce come un bel fusto di principe straniero possa essersi innamorato alla follia.
Nicola Bruni