La nobiltà dei Torlonia raccontata da Ignazio Silone

nel romanzo storico Fontamara (1930)


“Bisogna infatti sapere che, assieme a vaste estensioni di terre dell’Agro Romano e della Maremma, i quattordicimila ettari del Fucino sono proprietà di una famiglia di sedicenti principi Torlonia, calati a Roma ai primi del secolo scorso [‘800] al seguito di un reggimento francese.

Ma questa sarebbe una tutt’altra storia. E forse, dopo aver narrato il triste destino dei Fontamaresi, scriverò un’edificante vita dei Torlognes, come in origine essi si chiamavano. […]

Nessuno dei Torlognes ha mai toccato la terra, neppure per svago, e di terra ne possiedono adesso estensioni sterminate, un pingue regno di molte decine di migliaia di ettari.

I Torlognes arrivarono a Roma in tempo di guerra e specularono sulla guerra, poi specularono sulla pace, quindi specularono sul monopolio del sale, poi specularono sui torbidi del ’48, sulla guerra del ’59, sui Borboni del regno di Napoli e sulla loro rovina; più tardi hanno speculato sui Savoia, sulla democrazia e sulla dittatura. Così, senza togliersi i guanti, hanno guadagnato miliardi. 

Dopo il ’60 riuscì ad un Torlogne di impadronirsi a poco prezzo delle azioni di una società finanziaria napoletana-franco-spagnuola che aveva fatto perforare l’emissario per il prosciugamento del [lago] Fucino e che si trovava in difficoltà per la caduta del regno: secondo i diritti riconosciuti alla società dal re di Napoli, Torlogne avrebbe dovuto godere dell’usufrutto delle terre prosciugate per la durata di novant’anni.

Ma, in cambio dell’appoggio politico che egli offrì alla debole dinastia piemontese, Torlogne ricevette le terre in proprietà perpetua, fu insignito del titolo di duca e più tardi di quello di principe. La dinastia piemontese gli regalò insomma una cosa che non le apparteneva”.

Ignazio Silone


Nella foto (di Nicola Bruni), lo stemma principesco dei Torlonia.