Il senso dell’umorismo nasce generalmente dal naturale buonumore della persona, ma può essere coltivato con l’educazione ad una ironia leggera e all’autoironia, a cogliere il lato comico nelle vicende della vita, a non prendersi troppo sul serio, a saper giocare con le parole per divertire chi ci ascolta.
Cominciai a praticare la pedagogia del sorriso improvvisando ogni tanto una battuta divertente mentre parlavo ai miei alunni di cose serie. Era la simpatia reciproca che mi ispiravano le fanciulline e i garzoncelli affidati alle mie cure, a creare un’atmosfera propizia al battutismo. Alcuni di loro cominciarono ad annotarsi le mie gag su un quaderno, e a sentirsi contagiati dal mio sense of humour, una “patologia” che l’alunna Jacqueline Severino classificò “scientificamente” come Brunite. L’attesa della battuta, talvolta, acuiva l’attenzione della scolaresca alle mie parole e contribuiva a scacciare la noia dalla lezione. Inoltre, la battuta del “prof” spesso provocava la controbattuta dell’allievo.
Da quell’esperienza di educazione all’umorismo, trassi una serie di raccontini che pubblicai nella rivista quindicinale La Tecnica della Scuola, e che poi riunii nel libro “Ad cathedram – Spirito e materie”, del 2004. Un volumetto che riporta in appendice un ampio repertorio di “battute di classe”, sparate da me o dai miei alunni, o persino involontarie. Del tipo: “Eccallà!”, esclamò il piccolo Abib uscendo da una scuola romana. – Hai invocato Allah. Sei musulmano? – No, ho detto: “Eccallà, mi’ madre”.
Nicola Bruni