L’appellativo di “peracottaro”, nel gergo romanesco, viene usato per indicare una persona incapace e pasticciona che fa in pubblico una figura meschina. In origine, il peracottaro era un venditore ambulante di pere cotte di scarsa qualità nei mercati rionali.
Mi è venuto spontaneo definire “peracottari” i geniali strateghi del “cattivismo” antimigranti che hanno cercato di inaugurare, prima del secondo compleanno del Governo Meloni, il costosissimo “Centro per il rimpatrio” realizzato in Albania con la deportazione dei primi 16 “clandestini” maschi da identificare e spedire a casa loro, in Bangladesh e in Egitto.
Solo dopo un lungo viaggio e il loro sbarco in Albania, le competenti autorità italiane si sono accorte che due dei deportati erano minorenni e altri due erano “in condizioni di fragilità”, cioè seriamente ammalati, e perciò dovevano essere trasferiti in Italia. E, l’indomani, la speciale sezione del Tribunale di Roma, applicando una sentenza della Corte europea di Giustizia, non ha convalidato la detenzione degli altri 12 migranti nel lager albanese perché provenienti da “Paesi non sicuri” e quindi non rimpatriabili.
Il Governo è insorto con una violenta polemica contro la magistratura e ha cercato di mettere una toppa al suo clamoroso flop dichiarando sicuri per decreto-legge 19 Paesi, tra i quali l’Egitto e il Bangladesh.
Ci sono volute la bella faccia di tosta Giorgia Meloni e quella (meno bella) del ministro degli Esteri Antonio Tajani, per fingere di non ricordare come il regime dittatoriale di Al-Sisi abbia sequestrato, torturato e assassinato il nostro connazionale Giulio Regeni, rifiutandosi finora di rendere conto di quel misfatto. Per fingere di non sapere che nelle prigioni egiziane sono rinchiusi migliaia di oppositori politici. Per fingere di non sapere che le elezioni politiche in Bangladesh del 7 gennaio scorso, che hanno confermato per la quinta volta al potere Sheikh Hasina, si sono svolte in un clima di violenza omicida e repressione contro le forze di opposizione.
Il vicepremier Matteo Salvini è arrivato ad insinuare, in un’intervista al Tg1, che qualcuno di quei 12 poveri richiedenti asilo lasciati liberi (dopo essere sopravvissuti agli orrori dei lager libici) potrebbe, “Dio non voglia”, compiere stupri e omicidi. Una calunnia razzista che si inserisce in una campagna – politicamente fruttuosa – di istigazione all’odio, al disprezzo e alla paura nei confronti degli immigrati dalla pelle scura.
Per giunta, lo stesso uomo di governo ha mostrato in tv di compiacersi per l’uccisione da parte di un poliziotto a Verona di un immigrato regolare del Mali in stato di alterazione psichica, dicendo “con tutto il rispetto” che “non ci mancherà”. Quel poveretto, invece, mancherà moltissimo a sua moglie e ai suoi cinque figli.
Nicola Bruni