Le liturgie di una “religione della Patria”

Parliamo del Vittoriano, il grandioso monumento celebrativo di Vittorio Emanuele II di Savoia, innalzato nel centro di Roma tra il 1885 e il 1911. Esso fu concepito dalla classe di governo monarchico-massonica come contenitore di un altare per il culto del primo re d’Italia, retoricamente divinizzato post-mortem secondo l’usanza degli antichi imperatori romani. Un altare per una “religione della Patria”, alternativa a quella cristiana, sovrastato da una “maestosa” statua equestre del sovrano da venerare come Padre della Patria. Di qui, la denominazione di Altare della Patria. Per giunta, si volle che la sua mole risultasse più alta della duecentesca basilica cattolica dell’Ara Coeli (Altare del Cielo), che svettava sul Campidoglio.

Per costruirlo, con costi esorbitanti, fu sbancata una parte del colle capitolino, demolito un quartiere medioevale, e trasportata dalla provincia di Brescia una montagna di marmo botticino, che fu preferito al più economico travertino romano per l’interesse elettorale del ministro bresciano Zanardelli. Questo avvenne negli anni in cui milioni di italiani erano costretti dalla miseria ad emigrare dalla patria.

Nel 1921 vi fu collocata la tomba del Milite Ignoto, una salma non identificata scelta in rappresentanza dei 650mila soldati italiani mandati a morire nella guerra del 1915-18; e da allora ha cambiato destinazione d’uso trasformandosi nel principale santuario di una religione della Patria, dove si celebrano le più importanti liturgie civili e militari della Nazione. Con qualche incongruenza: la tomba-tabernacolo del Milite Ignoto è sormontata da un’imponente statua di donna che rappresenta una mitica Dea Roma, non l’Italia; entrambe sono messe sotto i piedi del cavallo del Padre della Patria; ma né al Divo Vittorio né alla Dea Roma sono dedicate le onoranze rese durante le cerimonie ufficiali e le corone d’alloro deposte davanti a quel “sacello”. Che è “religiosamente” vigilato giorno e notte dalla guardia d’onore di due sentinelle armate, e “illuminato” dalle fiamme perenni di due bracieri.

Professata in quasi tutti i Paesi del mondo, la “religione della Patria” ne rende “sacro” il suolo e “sacri e inviolabili” i confini – a meno che non si tratti di allargarli con una guerra -, mentre proclama “sacro” il dovere del cittadino di difenderla o sostenerla in guerra anche a costo della vita (a differenza di altri doveri, profani, come rispettare le leggi e pagare le tasse).

È una religione laica che ha le sue cerimonie liturgiche: nel rito solenne dell’alzabandiera, nel canto-preghiera dell’inno nazionale, nel culto dei monumenti ai caduti, nei pellegrinaggi ai sacrari (cimiteri) di guerra, nelle parate (processioni) militari, nei pubblici giuramenti delle reclute.

È una religione laica che tende a privilegiare l’immagine di una patria in armi, vincitrice o martire nello scontro con altri popoli, comunque sempre gloriosa. Di una patria che sembra non avere mea culpa da recitare, neppure per essersi resa responsabile di guerre di aggressione (come furono tutte quelle combattute dal Regno d’Italia), di massacri coloniali, di persecuzioni politiche e razziali, e della dittatura fascista. È una religione che può andare bene anche a tanti atei.

Nicola Bruni