È stata spazzata via dal “Vento del ’68” la tradizione della goliardìa nelle università italiane, che aveva radici antichissime, risalenti addirittura al XIII secolo. Consisteva in un libero aggregarsi di studenti universitari che si riunivano per fare insieme baldoria e, in occasione di feste o cerimonie, indossavano una speciale feluca, o cappello goliardico, di colore diverso secondo la facoltà frequentata e che si usava decorare con spille e pendagli.
Gli studenti con più “bolli”, ossia quelli con più anni di università, andavano a caccia dei nuovi iscritti, le “matricole”, per prendersi gioco di loro, riscuotere un piccolo obolo o più semplicemente farsi pagare da bere. Alla matricola, dopo che era stata “pelata”, veniva rilasciata una pergamena a testimonianza dell’avvenuto pagamento, cosicché altri studenti anziani non potessero pretendere pagamenti ulteriori. Tali pergamene, riempite con disegni sconci e frasi ironiche in latino maccheronico, erano denominate “papiri.”
Ogni anno in ciascun ateneo i capi della locale goliardia organizzavano una Festa della Matricola, che durava diversi giorni e aveva come programma lo svolgimento di cortei folcloristici per le vie cittadine, canti in coro, balli e grandi bevute nelle osterie. Tra i canti tradizionali c’era l’antico inno internazionale della goliardia, in latino, “Gaudeamus igitur iuvenes dum sumus”(Godiamo dunque finché siamo giovani).
La Festa della Matricola era un pretesto che molti studenti delle superiori coglievano per fare sciopero o “sega” a scuola e unirsi alle manifestazioni goliardiche.
All’annuale Festa della Matricola partecipavo anche io, con entusiasmo, indossando il cappello goliardico di colore rosa della facoltà di lettere.
Nicola Bruni
Nella foto, una fanfara goliardica a Villa Borghese per la Festa della Matricola dell’Università di Roma nel marzo 1965.