La mattina del 9 agosto 1959, zaino in spalla, partii da Cortina d’Ampezzo per il mio primo viaggio internazionale in autostop: obiettivo Saint-Tropez, sulla Costa Azzurra in Francia, la località balneare resa famosa dall’attrice Brigitte Bardot e frequentata all’epoca da molte star del cinema. Era una sfida che avevo proposto a me stesso, nell’ardimentosa incoscienza dei miei 17 anni, seguendo la moda dell’hitch-hiking lanciata dallo scrittore statunitense Jack Kerouac con il suo romanzo ”On the road” (Sulla strada).
A Cortina, dove ero arrivato in treno da Roma, avevo partecipato a un campo scuola nazionale per esponenti di organizzazioni studentesche (allora io dirigevo il giornalino del liceo Augusto ed ero stato promosso all’ultima classe), ma il mio pensiero era frequentemente rivolto a quell’avventura che stavo per intraprendere.
Con la mia faccia da bravo ragazzo, mi risultò abbastanza facile, in Italia, ottenere dei passaggi dagli automobilisti. Avevo programmato un percorso turistico con soste legate alla presenza di ostelli per la gioventù, dove avrei potuto dormire e, a volte, anche mangiare con pochi soldi.
Al quarto giorno approdai all’Auberge de jeunesse di Cap d’Ail, tra Montecarlo e Nizza.
La sera, sulla terrazza di quell’ostello, mi ritrovai nel mezzo di una festa organizzata da una comitiva di ragazzi e ragazze francesi, che salutavano vivacemente un loro beniamino, alla vigilia della sua partenza. Lo sollevarono da terra e lo lanciarono verso l’alto, poi tutte le ragazze lo attorniarono per baciarlo. E infine, in un clima di euforia generale, alimentato da bevute di birra, maschi e femmine cominciarono ad abbracciarsi e baciarsi l’un l’altra. Io mi ero intrufolato nella mischia, sperando che qualche ragazza per sbaglio venisse a baciare anche me; ma non mi andò bene.
L’indomani mattina si fermò a darmi un passaggio un motociclista. Esitai un po’, però decisi di non perdere l’occasione. Quello si mise a correre come un pazzo, su una strada tutta curve e a picco sul mare. Io ero paralizzato dalla paura e non avevo il coraggio di chiedergli di farmi scendere. Chiusi gli occhi e mi raccomandai con una preghiera alla Madonna. Finalmente, mi scaricò a Juan-les-Pins, nei pressi di Antibes, dove trascorsi alcune ore sulla spiaggia e a fare i bagni, prima di rimettermi in viaggio.
Poiché, di fronte al mio pollice alzato, non si fermava nessuno, all’imbrunire andai alla ricerca di una sistemazione economica per dormire. Mi fu indicato un camping, ma il noleggio di una tenda era per me troppo caro.
Mi vide in difficoltà un ragazzo caritatevole, che era cliente dal camping, e si offrì di aiutarmi. Mi indicò la strada per entrare nel campeggio da un’apertura posteriore e mi fece entrare in una tenda vuota che aveva una branda con materasso. “Chiuditi qui dentro, non ti disturberà nessuno”, mi disse. Cenai al buio con pane, marmellata e formaggini che avevo nello zaino, ma riuscii a dormire poco perché di notte faceva freddo e, per riscaldarmi, dovetti fare ginnastica e indossare uno sopra l’altro tutti gli indumenti che avevo con me. All’alba, me la squagliai, quatto quatto, senza farmi vedere da alcuno.
Quel giorno ottenni in breve tempo tre passaggi che mi portarono al traguardo della mitica Saint-Tropez. Lì feci il bagno, mi distesi al sole sulla spiaggia, e vi piantai simbolicamente la bandierina italiana che adornava il mio zaino. Poi, dopo aver scritto e spedito alcune cartoline ad amici e parenti, a dimostrazione dell’impresa compiuta, imboccai la strada del ritorno.
A proposito di cartoline, oggi io mi domando come i miei genitori potessero allora stare tranquilli con un figlio assente da casa per più di un mese e che li informava della sua esistenza con una cartolina alla settimana. Eppure, non mi risulta che, durante quel viaggio, la mia mamma e il mio papà fossero troppo in ansia per me. Sembra che le cartoline avessero per loro un effetto rassicurante.
Nicola Bruni