Il presepe a scuola

simbolo di festa per il Natale di Gesù e segno di speranza nel ritorno a una vita normale.

Venerdì 4 dicembre ho portato a termine il Presepe 2020 della scuola media Teodoro Mommsen, l’istituto del quartiere Appio Latino di Roma nel quale ho insegnato negli ultimi otto anni della mia attività di docente, dal 1997 al 2005. L’ho costruito con le mie sole mani, come presepista volontario, non potendo avvalermi questa volta, per motivi di sicurezza sanitaria, della collaborazione degli studenti. Ci ho impiegato circa 12 ore di lavoro, distribuite in 5 giorni.

E’ il 24° anno consecutivo che allestisco alla Mommsen la tradizionale rappresentazione della nascita di Gesù. In tutti questi anni, per le donazioni degli alunni, si è accumulato un patrimonio iconografico di circa 250 statuine, di persone e animali, che ora affollano la scena.

E’ un presepe fatto con materiali poveri, che poggia su 5 tavoli: scatole di cartone, carta dipinta, pezzi di sughero, muschio, sassolini, casette di legno, di cartapesta o di cartoncino. Non ci sono luci né meccanismi elettrici, che al tempo di Gesù erano sconosciuti.

Mentre lavoravo al presepe, ho avuto il piacere di ricevere complimenti e ringraziamenti da insegnanti, genitori e classi di alunni che passavano davanti a me. 

La scuola Mommsen è frequentata anche da ragazzi e ragazze che non professano la religione cristiana, ma mai nessuno di loro ha mostrato di sentirsi disturbato da questa rievocazione artistica della nascita di un celebre bambino nel disagio e al freddo di una stalla. Anzi, si è manifestata molta curiosità da parte di studenti stranieri provenienti da altre culture, per questa tradizione genuinamente italiana.

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Al di là del suo significato religioso, il presepe è una rappresentazione simbolica che ripropone visivamente importanti valori morali dell’umanesimo cristiano:

la sacralità della vita umana nascente, della maternità della donna e della famiglia fondata sul matrimonio;

la pari dignità di figli di Dio delle persone umili, i pastori, chiamati per primi ad incontrare Gesù bambino e a ricevere il suo annuncio di salvezza;

la generosità nell’aiutare chi è nel bisogno, come virtù anche dei poveri;

la pace e la pacifica convivenza fra popoli diversi (nell’annuncio degli angeli “Pace in terra agli uomini di buona volontà”);

l’accettazione dei doni portati dai rappresentanti di altri popoli e culture (i Magi venuti dall’Oriente);

il rispetto e l’amore per la natura creata da Dio (il cielo stellato, la campagna, le montagne, i corsi d’acqua raffigurati nel presepe) e per gli animali, chiamati anche loro (il bue, l’asinello, le pecorelle, i cammelli…) a popolare la scena della Natività.

Peraltro, la nascita di Gesù avvenne in circostanze drammatiche: Dio volle farsi uomo nascendo come un povero figlio di immigrati senza casa, costretti prima a cercare alloggio in una stalla, “perché non c’era posto per loro nell’albergo” (secondo il Vangelo di Luca), e poi a rifugiarsi da clandestini in un altro Paese per sottrarsi a una persecuzione omicida (quella del re Erode che ordinò la “strage degli innocenti”, cioè di tutti i bambini di Betlemme dai due anni in giù).

L’albergo in cui “non c’era posto” per una madre in procinto di partorire (e nessuno le cedette il suo) è un simbolo dell’egoismo umano, mentre la “mangiatoia” in cui Maria “depose” il Bambino appena nato è un invito a immedesimarci nelle gravi difficoltà in cui versano tante persone povere.

Nicola Bruni

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Nella foto in alto, il presepe che ho costruito nel salone di ingresso della scuola media Mommsen di Roma per il Natale 2020.

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