come metafora del Coronavirus e di altri eventi rari e inaspettati di grande rilevanza.
E’ tornata d’attualità, con avvento dell’imprevista pandemia mondiale del Coronavirus, la teoria del Cigno Nero, formulata nel 2007 dal filosofo e matematico libanese Nassim Nicholas Taleb, esperto di “scienze dell’incertezza”. In un saggio intitolato “Il cigno nero – Come l’improbabile governa la nostra vita”, Taleb ha esaminato il forte impatto che alcuni avvenimenti rari ed imprevedibili, positivi o negativi, hanno sull’uomo e sulla sua storia, e sulla tendenza tutta umana di trovare giustificazioni a posteriori di tali eventi.
L’espressione Cigno Nero viene dal poeta latino Giovenale (I-II secolo d. C.), che usò la similitudine fantasiosa di “un uccello raro sulla terra, quasi come un cigno nero” (rara avis in terris, nigroque simillima cygno), riferendosi ad un evento straordinario e inaspettato, quasi del tutto impossibile.
Quella metafora fu poi utilizzata nelle discussioni filosofiche dei periodi successivi, basati sulla convinzione che tutti i cigni fossero bianchi, fino a quando un giorno, alla fine del Seicento, sbucò in Australia una nuova specie di uccello acquatico, il “cignus atratus”, che deve il nome di “cigno nero” al colore prevalente del suo piumaggio.
Secondo Taleb, un Cigno Nero non può essere mai previsto, immaginato o classificato, e quando arriva, spesso non viene neppure riconosciuto per quello che è. “In primo luogo, è un evento isolato, che non rientra nel campo delle normali aspettative, poiché niente nel passato può indicare in modo plausibile la sua possibilità”, scrive. “In secondo luogo, ha un impatto enorme. In terzo luogo, nonostante il suo carattere di evento isolato, la natura umana ci spinge a elaborare a posteriori giustificazioni della sua comparsa, per renderlo spiegabile e prevedibile”.
Nicola Bruni