La mamma maglierista

Eravamo una bella famiglia di sei persone, negli anni “magri” del dopoguerra, a Roma: i genitori Peppino e Stella (classe 1907), i tre figli Nico (1941), Mariuccia (1943), Antonio (1946) e la “tata” Caterina (1915), un’amica intima della mamma venuta a vivere con noi, e ad aiutarci, fin dalla mia nascita. 

Abitavamo a Via Licia, quartiere Latino Metronio, in un appartamentino affittato di due camere, cameretta, ingresso, cucina e bagno, che vide noi figli nascere, crescere, giocare e studiare fino al 1958.

Per dormire, la sera si aggiungevano ai letti fissi due giacigli su brande pieghevoli, e… “buona notte” a tutti. Se c’erano ospiti, io e Antonio venivano sistemati nello stesso letto, con i cuscini alle due estremità; e così si faceva per Caterina e Mariuccia.

Poiché lo stipendio di papà, maresciallo dell’Esercito, non bastava, la mamma si mise a lavorare in casa come maglierista, dopo aver acquistato di seconda mano una macchina per la tessitura della lana. 

Aveva imparato il mestiere facendo tirocinio in un laboratorio, e confezionava dei bei capi, che esponeva in parte nelle vetrine di una merceria di Largo Pannonia. 

Da apprendista, diventò maestra di una giovane allieva, poi promossa a collaboratrice retribuita: una ragazza dolcissima, che mi coccolava da bambino, e che talvolta piangeva perché il suo fidanzato non voleva sentir parlare di matrimonio.

La mamma acquistava modelli di carta nei negozi di Casa Line e Mani di Fata, al centro di Roma, e si teneva aggiornata sulle novità della moda.

Ovviamente, vestiva di “pura lana” anche noi figli, di solito sulla base di misure calcolate “in crescenza”, perché gli indumenti potessero durare. E tagliava e cuciva anche come sarta, per uso familiare, riciclando i vestiti.

Una volta, fece una giacca di lana “coi fiocchi” per il mio maestro di quinta elementare, il quale la accettò come pagamento di un ciclo di lezioni private che mi aveva impartito in preparazione agli esami di ammissione alla scuola media. 

Potete immaginare la confusione che c’era in un piccolo appartamento come il nostro, dove la mamma azionava a mano rumorosamente la macchina di tessitura, collocata nella stanza di ingresso, e di tanto in tanto riceveva qualche cliente che si presentava alla porta senza preavviso, mentre noi figli facevamo i compiti, giocavamo o litigavamo.

Tra i clienti, c’era una insegnante della mia scuola media Giovanni Pascoli, che ogni volta s’inteneriva trovandomi, così piccolo a 11 anni, seriamente applicato allo studio, tra pile di libri, quaderni e vocabolari (latino, inglese, italiano), poggiati sul tavolo della cucina. 

Un giorno la mia professoressa del ginnasio Clelia Rotunno, all’Augusto, mi vide arrivare in classe con un nuovo maglione di colore nero, lavorato a trecce (opera della mamma), e si preoccupò: “Che sei in lutto? Hai perso qualcuno?”. “No”, le risposi, ” il nero è di moda”.

Nicola Bruni

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Nella foto, del 1948, mamma Stella Cesarelli con i figli Nico, Mariuccia e Antonio (in braccio) sulla terrazza del palazzo di Via Licia.