La “morte santa” per Elina, infine, è arrivata. Dopo 82 primavere. L’avevamo invocata tante volte da Dio, nei 47 anni della nostra unione coniugale, recitando insieme la strofa conclusiva dell’Inno allo Spirito Santo: “Dona virtù e premio, / dona morte santa, / dona gioia eterna”.
E’ arrivata di domenica, nel giorno del Signore, l’8 agosto 2021, festa di San Domenico, il santo della Madonna del Rosario, la coroncina dell’Ave Maria con l’invocazione, ripetuta migliaia di volte da Elina nella sua vita: “Prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte”.
E’ arrivata, nella nostra casa a Roma, in mia presenza, mentre nella camera da letto risuonava un canto di ringraziamento a Dio della Messa in tv.
La sua è stata una morte liberatoria dell’anima, che era da molti mesi imprigionata in un corpo immobile, a causa di un meningioma paralizzante delle funzioni cerebrali, in continua crescita all’interno del suo cranio. Dallo scorso febbraio non riusciva più a parlare e nemmeno a comunicare con gesti del capo. Ultimamente, alla paralisi flaccida, si erano aggiunte ricorrenti crisi cardio-respiratorie e ipertensive, che la facevano molto soffrire. Elina giaceva nel suo letto, accudita giorno e notte, a turno, da cinque assistenti, con catetere, flebo e bombola di ossigeno.
Tuttavia, era cosciente. Il 28 luglio era riuscita a muovere le labbra per mandarmi dei bacetti, in risposta alle mie parole d’amore. Ogni domenica, fino al 1° agosto, si era comunicata con il Corpo di Cristo ingerendo un pezzettino di ostia consacrata che le veniva portato dall’amico viceparroco don Alberto Donai. E la sera di sabato 7 agosto, dopo l’aggravarsi delle sue condizioni, aveva ricevuto il sacramento dell’Unzione degli infermi.
Domenica 8 agosto, uscendo di casa per andare alla Messa delle ore 10, io l’avevo affidata ad un angelo custode di nome Angela. La quale, al mio ritorno, poco dopo le 11, mi riferì che Elina aveva aperto gli occhi e guardava attorno come per cercarmi, e lei l’aveva rassicurata dicendole: “Nicola è andato in chiesa a pregare per te; torna subito”.
Vidi che faceva grandi sforzi per respirare, pur avendo la mascherina dell’ossigeno, caricato al massimo. Alle 11,30 le misurai la pressione arteriosa, che risultò bassa in maniera allarmante: 76 di massima, 45 di minima, con pulsazioni a 124.
Mentre stavamo per applicarle una flebo con soluzione glucosata, sperando di far risalire la pressione, ci accorgemmo che il suo respiro affannoso si era improvvisamente fermato. L’orologio segnava le 11,35, l’ora della morte.
Gridando “Elina! Elina! Elina!”, tentai un massaggio cardiaco, ma lei non si riprese. Allora scoppiai a piangere, con lacrime che cadevano a terra, come non avevo più fatto da quando ero bambino.
Poi mi rassegnai: il suo corpo era morto, con gli occhi chiusi e un viso rasserenato. Recitai, insieme con Angela, l’Ave Maria, il Padre nostro e l’Eterno riposo. E telefonai ai due figli, Paolo e Fabio, che erano in vacanza in Sicilia: “La mamma è andata in Paradiso”.
Nicola Bruni