Accadeva nel 1949, l’anno del quale, in un precedente racconto, ho rievocato uno scenario di antiquariato lessicale. Ne ho conservato memorizzati fin da allora, nella mia capoccetta di bambino romano in età tra i 7 e gli 8 anni, diversi ricordi: della mia famiglia, del palazzo Via Licia dove ero nato, della scuola elementare Alessandro Manzoni, e della parrocchia della Natività di Via Gallia con le attività dell’oratorio, il “cinema dei preti” e la novena di Natale dei bambini all’alba.
Ricordo, anche, che il 2 giugno di quell’anno assistetti, accompagnato dal mio papà e in mezzo a una grande folla, all’inaugurazione del monumento a Giuseppe Mazzini sull’Aventino, cerimonia con la quale si celebrò la terza Festa della Repubblica.
Due mesi prima, il 4 aprile 1949, l’Italia aveva firmato, con Alcide De Gasperi presidente del Consiglio, il Patto Atlantico ed era entrata a far parte, come Stato fondatore, dell’alleanza militare della NATO con Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Francia, Portogallo, Belgio, Olanda, Lussemburgo, Danimarca, Norvegia e Islanda. Il successivo 9 maggio, l’Italia firmò a Londra con altri 9 Paesi promotori l’atto costitutivo del Consiglio d’Europa.
Erano passati appena quattro anni dalla fine di una disastrosa guerra perduta e due dall’umiliante Trattato di pace di Parigi, che imponeva al nostro Paese il disarmo e la smilitarizzazione di una fascia di 20 chilometri ai suoi confini terrestri. L’Italia – ancora esclusa dall’ONU – si ricollocava nel contesto internazionale e riacquistava la sovranità sul proprio territorio, garantita dalla ricostituzione di proprie forze armate e da un’alleanza politico-militare che l’avrebbe difesa, nella Guerra Fredda in corso, dalla minaccia espansionistica dell’Unione Sovietica di Stalin.
In quella primavera del 1949, io frequentavo la seconda elementare a Roma in una scuola sovraffollata e funzionante a due turni, sulle cui pareti campeggiavano manifesti per avvertire i bambini del pericolo delle bombe inesplose, da non toccare.
In alcuni quartieri della città, come San Lorenzo e Tuscolano, si ergevano ancora i ruderi di palazzi sventrati dai bombardamenti.
Nella mia parrocchia si distribuivano alle famiglie bisognose pacchi alimentari della POA, la Pontificia opera di assistenza, mentre ci si preparava all’Anno Santo 1950, indetto dal papa Pio XII, che lo inaugurò alla vigilia di Natale del 1949.
Nel mio palazzo di Via Licia c’erano sei famiglie costrette alla coabitazione, due a due, in uno stesso appartamentino, mentre nel quartiere (Latino Metronio) erano in funzione numerosi cantieri edili per la costruzione di nuove case.
E là, di fronte alle Mura Aureliane, dove – come nella canzone della “Via Gluck” di Celentano – c’era un ampio prato verde utilizzato dai “regazzini de Porta Metronia” per giocare a pallone, sarebbe sorta presto una nuova scuola.
Insomma, l’Italia si stava rimettendo in piedi, e io – al pari dei miei compagni – sognavo di darle “da grande” un valido contributo.
Nicola Bruni