Fu investito da un tram a Barcellona, il 7 giugno 1926, Antoni Gaudí, grande innovatore e maestro dell’architettura moderna, autore di alcuni tra i più celebrati edifici di quella città. Ma era così modestamente vestito che i soccorritori non lo riconobbero e lo trasportarono all’ospedale dei poveri, “La Santa Cruz”. Lì, volle rimanere con i poveri, e tre giorni dopo spirò, in fama di santità.
Aveva
dedicato più della metà dei suoi 74 anni a un’opera gigantesca e
fantastica, il tempio della “Sagrada Familia”, la famiglia di Gesù (aula
a croce latina di 90×60 metri, 18 alte torri a guglia, quattro facciate
adorne di statue, un chiostro, una cripta), la cui costruzione, tuttora
incompiuta nella parte esterna, è continuata fra alterne vicende nei
decenni successivi secondo il suo progetto, fino a giungere al traguardo
dell’apertura al culto cattolico con la Messa del papa Benedetto XVI,
il 7 novembre 2010.
I biografi intervenuti a sostegno della causa
per la sua beatificazione, avviata nel 2003, descrivono quel “Santo
Costruttore” come una persona umile e di profonda fede cristiana.
Gaudí si sentiva un collaboratore di Dio nella creazione artistica. Era un perfezionista molto esigente con se stesso, anche a costo di procedere a rilento. E si giustificava: “Il mio Cliente non ha fretta”. Consigliava ai suoi collaboratori: “Se volete fare un buon lavoro dovete metterci amore, prima ancora che l’abilità e la tecnologia”.
Aveva concepito la “Sagrada Familia” come una cattedrale per il secolo futuro, ricca di simboli tratti dalla natura creata da Dio e di insegnamenti biblici, allo stesso tempo luogo di preghiera e libro sacro di pietra aperto ai raggi del sole.
Diceva: “L’arte è bellezza. La bellezza è lo splendore della verità, e per conoscere la bellezza bisogna guardare al creato”.
Nicola Bruni
Nella foto, la basilica della Sagrada Familia, dell’architetto Antoni Gaudí, a Barcellona.