Fu Caterina Benincasa, popolana senese vissuta nel XIV secolo, a formulare per prima il concetto di “bene comune”, inteso come virtù sociale, che si fondi sulla “santa giustizia” e sull’amore per gli altri, renda a ciascuno il suo, vinca l’egoismo e produca una pace gioiosa. Una definizione rivoluzionaria, in contrasto con il pensiero e la pratica di quel tempo, in cui si riteneva che il bene da perseguire in politica e nella società fosse l’appropriazione e l’accrescimento di un potere personale e patrimoniale.
Caterina ebbe l’ardire di richiamare energicamente al bene comune non solo i religiosi, ma anche i governanti e persino i “lupi”, i famelici condottieri delle compagnie di ventura che saccheggiavano l’Italia.
Tra i tanti doni divini ricevuti sin dalla più tenera età, a questa grande donna del Medioevo sono state riconosciute una sapienza infusa e un’intelligenza delle cose di Dio tanto profonde da consentirle di tener testa a papi, cardinali, teologi, re e regine.
Benché analfabeta, interloquì con i potenti, in favore della pace, in difesa del papato e per la riforma della Chiesa, soprattutto attraverso lettere dettate ai suoi amici frati domenicani, che insieme con altri testi avrebbero prodotto quei capolavori di teologia e di “diplomazia” ecclesiastica che sono l’Epistolario, il Dialogo della Divina Provvidenza (o Libro della Divina Dottrina) e la raccolta delle Preghiere.
Nata a Siena il 27 marzo 1347, ventiquattresima di venticinque figli, Caterina non va a scuola, non ha maestri. I suoi genitori le propongono matrimoni vantaggiosi fin dall’età di 12 anni, ma lei dice sempre di no. Per sé chiede solo una stanzetta che sarà la sua “cella” di terziaria domenicana e diventerà un cenacolo di artisti e di dotti, di religiosi e di devoti.
Impara poi a leggere e scrivere, ma per comunicare il suo pensiero preferisce la dettatura. Si dedica ad un’intensa attività caritatevole a beneficio dei poveri, degli ammalati, dei carcerati.
Nel 1376 va ad Avignone e riesce a convincere il papa Gregorio XI a fare ritorno a Roma, nel gennaio 1377.
Nel febbraio 1378 è chiamata nella capitale della cristianità dal nuovo papa Urbano VI, dopo la ribellione di una parte dei cardinali che dà inizio allo Scisma d’Occidente. Ma qui si ammala e muore, a soli 33 anni, il 29 aprile 1380.
Sarà canonizzata nel 1461 dal papa senese Pio II.
A Santa Caterina sono stati attribuiti i titoli di Patrona di Roma (Pio IX, 1866), Patrona d’Italia (Pio XII, 1959), Dottore della Chiesa (Paolo VI, 1970) e Compatrona d’Europa (Giovanni Paolo II, 1999).
Il suo corpo è sepolto a Roma sotto l’altare della Basilica di Santa Maria sopra Minerva.
Nicola Bruni
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Nella foto (di Nicola Bruni), il monumento a Santa Caterina da Siena, opera di Francesco Messina (1962), eretto a Roma nei giardini di Castel Sant’Angelo.