Avevo già 20 anni, quando, nel 1961, arrivò il primo frigorifero in casa mia a Roma. Fino ad allora, ero vissuto “normalmente”, anche se con abitudini alimentari diverse, in una famiglia di sei persone. E non avevamo neppure una ghiacciaia.
Come facevamo a conservare gli alimenti deperibili senza poterli refrigerare? Semplicissimo: ne compravamo pochi alla volta, non li conservavamo e ce li mangiavamo al più presto.
Per esempio, il latte lo prendevamo la sera dal lattaio, durante la notte tenevamo la bottiglia da un litro al fresco sul davanzale della cucina, e al mattino seguente la svuotavamo nelle tazze della colazione.
La carne? Si cucinava prevalentemente nei giorni di festa. Cotta – in sugo, in brodo o in umido – poteva mantenersi per un po’. Le fettine le arrostivamo subito, mentre le bistecche, allora troppo costose, le lasciavamo dal macellaio.
Il brodo di gallina era di prammatica dopo la somministrazione, a noi figli da piccoli, di una purga all’olio di ricino.
Il pesce fresco, fatta eccezione per le alici (che costavano poco), era un “chi l’ha visto?”.
In aggiunta alla verdura e alla frutta fresca, una buona parte della nostra alimentazione abituale si basava su cibi essiccati (formaggi, salami, salsicce, stoccafisso, fagioli, ceci, lenticchie, piselli, fave, fichi, noci) e su prodotti conservati o sotto olio (carciofi, peperoni, zucchine), o sotto aceto (melanzane, cetriolini), o sotto sale (acciughe, sarde, baccalà), o sotto sugna (parti del maiale), o in salamoia (olive). D’altra parte, si risparmiava sul companatico mangiando molto pane, sotto forma di ciriole e sfilatini.
Usavamo anche conserva di pomodoro e marmellate di frutta fatte in casa. Per condire, solo olio d’oliva, niente burro o margarina.
La cosiddetta “pastasciutta”, per lo più spaghetti al sugo, era la regina della mensa. Quella che talvolta avanzava a pranzo, si riciclava per la cena, con l’aggiunta di un uovo, come frittata.
Ogni tanto la mamma ci preparava piatti di fettuccine, maccheroni o tortellini fatti a mano, gnocchi, gattò di patate o pomodori ripieni di riso, e per i compleanni e gli onomastici metteva in tavola una bella crostata a strisce con marmellata di albicocche.
Ci mancava, d’estate, l’acqua fresca. Ci accontentavamo di bere quella del rubinetto, dopo averla fatta scorrere, o quella delle fontanelle comunali, rinfrescata da uno scorrimento continuo.
A differenza dei miei benestanti nipotini, per quanto io mi ricordi, noi figli da piccoli non facevamo distinzione tra “questo mi piace” e “questo fa schifissimo”: infatti, o non avevamo voglia di mangiare per mancanza di appetito oppure mandavamo giù “la qualunque”.
Nicola Bruni
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In questa foto del maggio 1956, sono ritratto a 14 anni in abito da cerimonia per la festicciola (fatta in casa
e senza frigorifero) della Prima Comunione di mio fratello Antonio, davanti alla chiesa della Natività in Via Gallia.