La “Contestazione” del Sessantotto all’istituto tecnico femminile Margherita di Savoia, di Roma, arrivò in ritardo, nell’anno scolastico 1970/71, quando le studentesse cominciarono a protestare contro i doppi turni, l’autoritarismo della preside e si ribellarono all’obbligo di indossare un grembiule nero in classe. Ci furono scioperi, “scioperi del silenzio”, sit-in nei corridoi e assemblee non autorizzate. Uno slogan scandito dalle ragazze, all’epoca, era “Lotta dura senza paura”. Delle “agitazioni” al Margherita di Savoia parlarono i giornali.
Parallelamente, si mosse un gruppo di insegnanti “innovatori”, una trentina su 110, che facevano “opposizione” al conservatorismo dominante nel collegio dei docenti, proponevano e attuavano innovazioni didattiche nelle loro classi e cercavano di orientare in senso costruttivo il movimento di protesta delle allieve. Di quel gruppo io, che avevo 29 anni ed ero un delegato sindacale, divenni il portavoce. La preside ci considerò dei sobillatori.
Non potendo riunirci nella scuola, tenevamo incontri serali in casa di una collega, e il 4 aprile affittammo a nostre spese un teatro (il “San Genesio” a Viale Mazzini) per organizzarvi, di domenica, un’affollata assemblea di studentesse e insegnanti del Margherita di Savoia sul tema “Scuola e sbocchi professionali”, con tre relatori.
Traggo dalla mia agenda del 1971 alcune annotazioni sulla persecuzione a cui fui sottoposto della preside, che faceva irruzioni a sorpresa nelle mie classi in cerca di pretesti per una sanzione disciplinare. Il 1° febbraio entrò in I F, mentre io spiegavo singolarmente alle alunne le correzioni ai loro elaborati di italiano, e invitò le ragazze che vociavano a fare silenzio. Il 27 febbraio tornò in I F, durante l’ora di attualità (presentazione del libro di Oriana Fallaci “Niente e così sia”), e domandò di che cosa stavamo parlando. Il 14 aprile venne in II F durante la ricreazione (situazione tranquilla) e richiamò Giuliana P. perché non indossava il grembiule. Il 15 aprile si presentò in II F, mentre commentavo “I promessi sposi” (situazione tranquilla), e rimproverò Mirella D. che teneva una gamba (con pantalone) distesa su una sedia. Il 19 aprile tornò in II F, mentre io spiegavo Quasimodo, e si limitò a salutare.
Dopo l’intervento del 27 febbraio la preside mi chiese di consegnarle il mio registro personale e sottopose ad un interrogatorio investigativo le alunne Fabiana C., Rosella Z. e Letizia P. sui contenuti delle mie lezioni. Non trovando appigli per un richiamo formale (le tre ragazze le parlarono bene di me), mi restituì il registro dopo averlo scarabocchiato a penna in alcune pagine con una serie di punti interrogativi. Al che io protestai con una lettera, contestandole che non aveva il diritto di farlo, ma avrebbe potuto chiedermi dei chiarimenti a voce.
Alla fine dell’anno, scattò la repressione: molte alunne “inquiete” furono bocciate e gli insegnanti “non allineati” si videro abbassare dalla preside la precedente qualifica di “ottimo” a “valente” (che comportava un punto in meno nelle graduatorie degli incarichi e dei trasferimenti). Tra i professori penalizzati in quel modo c’ero anch’io, ma presentai un documentato ricorso di 30 pagine a una commissione del Provveditorato agli studi, la quale riconobbe le mie ragioni e mi riqualificò come un “ottimo” docente. Peraltro, in quell’anno non avevo fatto neppure un’assenza.
La vicenda è stata poi tramandata ai posteri da un libro intitolato “La pelle dei professori”, di Giosuè Calabria e Gilberto Monti (Feltrinelli 1972).
Nicola Bruni
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A sinistra: alunne della I F del “Margherita di Savoia” dell’anno 1969/70, obbligate a indossare un grembiule nero.
A destra, alunne della II F (stessa classe) nell’anno 1970/71, a scuola in minigonna dopo aver vinto la “Rivoluzione dei grembiuli”.