Vi racconto le nozze della mia corrispondente dall’India: Sarita, 27 anni, studentessa universitaria di tecnologia, che dall’8 gennaio scorso è entrata in contatto con me tramite Facebook e WhatsApp. Ci siamo scambiati frequenti messaggi in inglese, e si è stabilito tra noi un rapporto confidenziale come tra nonno e nipote. Questa bella ragazza vive in un villaggio abitato solo da famiglie cattoliche, nei pressi della città di Rayagada, nello Stato dell’Orissa.
Mi ha parlato del fervore religioso che c’è nella sua comunità, dove tutte le sere si recita il Rosario, e si è lamentata della mancanza di un edificio di culto nelle vicinanze. La chiesa della sua parrocchia è lontana. Ogni tanto, nel villaggio viene un prete, che celebra la Messa all’aperto. A guidare la comunità ecclesiale c’è il suo nonno materno, che fa da maestro di catechismo.
Improvvisamente il 10 aprile, lunedì di Pasquetta, Sarita mi comunica che il suo matrimonio è stato fissato per il 26 e 27 aprile. Io le rispondo sorpreso: “Non sapevo che avessi un fidanzato”. E lei: “Non avevo un fidanzato. Le nozze sono state concordate tra la mia mamma e la mamma di lui”. Il promesso sposo, che abita in un altro villaggio, si chiama Sunil, ha 28 anni, è un assistente medico e anche “un bel fico”. Dice Sarita: “Io ho accettato perché mi fido della scelta fatta dalla mamma, e anche perché tutti quelli che lo conoscono mi hanno parlato bene di lui e lo hanno visto spesso in chiesa a pregare”.
Entusiasti dell’imprevisto fidanzamento, i due promessi sposi Sarita e Sunil cominciano a incontrarsi, a conoscersi, a piacersi e a innamorarsi. E subito scattano i preparativi per le due cerimonie nuziali, quella religiosa cattolica, da tenere all’aperto, e quella civile nel municipio. Sarita si mette alla ricerca dell’abito bianco da sposa, ne acquista uno bellissimo e me ne manda la foto, chiedendomi di pregare per il suo “marriage”.
Ma negli ultimi giorni si abbattono sul distretto di Rayagada forti piogge, che allarmano le due famiglie. Allora la gente del villaggio di Chandrapur, in mancanza di una chiesa, si organizza per montare una grande tenda sotto la quale celebrare la Messa e la festa nuziale. Allo stesso tempo, si mettono tutti a pregare intensamente Dio per la cessazione della pioggia. E finalmente, il 25 aprile, alla vigilia del grande evento, la pioggia cessa, e non piove più nei due giorni del matrimonio: “Un miracolo!”, mi scrive poi Sarita.
Feste di saluto ai promessi sposi vengono organizzate dai rispettivi amici davanti alle loro case. Musica dal vivo e danze, di tradizione indiana e moderne, animano la festa per Sarita, che si svolge alla presenza di centinaia di persone, in maggioranza giovani.
Per l’addio al celibato dello sposino Sunil, le donne della sua comunità di Bandhugaon celebrano uno speciale rito augurale, accalcandosi attorno a lui, che posa seduto “all’indiana” su un tappeto, per coccolarlo con carezze, cospargergli il capo di petali di fiori, spalmargli sul viso un impasto dorato e imboccargli del latte con un cucchiaino.
Una fresca e asciutta giornata estiva è il miglior regalo che Sarita e Sunil potessero aspettarsi per il loro matrimonio. L’intera comunità locale si è attivata per improvvisare sotto il tendone l’aula di una chiesa e allestire il buffet della festa nuziale. È presente una grande folla, praticamente tutti gli abitanti dei dintorni con l’aggiunta dei parenti e degli amici dello sposo venuti da fuori.
La cerimonia si apre con la danza rituale di un gruppo di ragazze in costumi tradizionali. La Messa, in forma solenne con musiche e canti, è concelebrata da nove sacerdoti della diocesi.
Al momento del “sì”, prima Sunil, poi Sarita pronunciano con voce commossa la formula canonica: “Io accolgo te … come mia sposa / mio sposo, e prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita”. Applausi e lacrime di commozione salutano la nascita della nuova famiglia.
Il giorno dopo, si celebra il matrimonio civile. Quindi, gli sposetti vanno a trascorrere insieme la loro “luna di miele” per nove giorni in casa dei genitori di lui e per i successivi nove giorni in casa dei genitori di lei. “Questa è la nostra cultura”, dice Sarita. Un viaggio di nozze, per mancanza di soldi, non se lo sono potuto permettere.
Nicola Bruni