C’era una volta la naia. Era il mitico Sessantotto, avevo 26 anni, vivevo a Roma, facevo già il “prof“ e dovetti lasciare i miei studenti per andare a “servire la Patria” a Caserta.
Avevo rinviato il più possibile per motivi di studio (laurea in lettere e corso di perfezionamento) il servizio militare di leva; ma poi dovetti sottomettermi all’obbligo della “chiamata alle armi”.
Il 15 luglio 1968, mi presentai alla caserma “Ferrari Orsi” di Caserta, dove ero stato destinato come Allievo ufficiale di complemento (AUC) del corpo dei Carristi.
Indossata la divisa e rasati i capelli a zero, uno dei primi “servizi alla Patria” che mi toccò fare, fu la pulizia delle latrine della Terza Compagnia AUC “Bir Hacheim”, alla quale appartenevo.
Accettai l’incombenza come un esercizio di umiltà: credevo di essere una persona di cultura, un professore, e invece in quel momento ero solo un “pulisci-cessi” della Compagnia che doveva espletare bene il compito assegnatogli.
La mia naja durò 15 mesi (da luglio ’68 a ottobre ’69).
I primi cinque li passai a Caserta, da Allievo ufficiale; poi, fui promosso Sergente allievo ufficiale e “sbattuto” a San Vito al Tagliamento, dove per cento giorni mi esercitai alla guerra nel XXII Battaglione Carri del Reggimento Lagunari “Serenissima”.
Finalmente, ad aprile del 1969, ottenni la stelletta di Sottotenente dei Carristi, e tornai a Caserta per gli ultimi sei mesi, con l’incarico di ufficiale istruttore delle reclute nella grande caserma “Giuseppe Amico”.
LAVORI FORZATI E LIBERTA’ VIGILATA
Sono stati duri i miei 15 mesi di naja: un’alternanza di lavori forzati e libertà vigilata.
Era per me una tortura non poter dormire abbastanza, anche a motivo dei servizi notturni di guardia e di “picchetto”.
Inoltre, mi pesava l’aver dovuto lasciare i miei amici e le mie attività.
Ho vissuto quel periodo, per lo più, come una penitenza, che da cristiano offrivo al Signore nelle mie preghiere, sebbene non mi venisse meno il naturale buonumore.
IL CIPPO DEI GALANTUOMINI
Ci confortava l’umorismo del nostro capitano, il quale, fra l’altro, ci descriveva in questi termini l’organizzazione militare: “L’esercito si regge su tre solidi pilastri: la chiave non si trova; il maresciallo non c’è; si è sempre fatto così“.
E per sdrammatizzare ci incoraggiava con questo apologo: “Al mio paese, davanti al cimitero, c’è un cippo. Quando qualcuno arriva lì davanti col cappotto di mogano, tutti ne dicono un gran bene. Lo chiamano il cippo dei galantuomini. Non meravigliatevi se, alla fine, diranno ‘bravi’ anche a voi”.
IL VENTO DEL ’68
Soffiava anche nelle caserme il “Vento del ’68”, e nella mia Compagnia di 85 Allievi ufficiali (tutti laureati o diplomati, provenienti da diverse regioni italiane) eravamo in grande maggioranza pacifisti e critici verso la retorica militarista, che ci veniva propinata specialmente attraverso canti obbligatori.
Alla fine, nella rivista in carta patinata che pubblicammo come ricordo del 52° Corso AUC di Caserta, intitolammo significativamente un articolo: “Abbiamo imparato a combattere ma non ad amare la guerra”.
Nicola Bruni
Nella foto in alto, sono sulla torretta di un carro armato M47 Patton.
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