I redattori del giornale Augustus

Questa foto, scattata a maggio del 1960, ritrae un gruppo di redattori del giornalino studentesco Augustus, al cancello d’ingresso del Liceo-ginnasio Augusto, in Via Gela 14 a Roma. Della redazione facevano parte anche altre cinque studentesse, che qui non compaiono. Io, che ne ero il direttore, sono il terzo da sinistra della seconda fila. 

    Nel triennio 1957/58, 1958/59 e 1959/60 pubblicammo 15 numeri di una rivistina a stampa formato quaderno, per un totale di 232 pagine, con mille copie di tiratura a numero.

    Il “giovanotto” con gli occhiali accanto a me, nella foto, è Ferdinando Stirati, che alcuni anni più tardi sarebbe passato dai banchi alla cattedra divenendo un prestigioso e storico professore di latino e greco dell’Augusto.

    Come si usava a quel tempo, noi maschi vestivamo tutti con giacca e cravatta, mentre la ragazza si era tolta il grembiule nero che doveva indossare in classe. 

    Proprio all’inizio di quell’anno scolastico, l’Augusto aveva traslocato dalla vecchia sede di Via Tuscolana (dove ora c’è il Russel) nell’edificio di nuova costruzione posto all’angolo tra Via Gela e Via Appia Nuova.

    Quella del giornalino Augustus, che io rifondai all’età di 16 anni nel dicembre del 1957 assumendone la direzione fino a giugno del 1960, è stata per me – e per altri studenti, che poi si sono affermati in vari campi della vita sociale – un’esperienza molto formativa. E per me anche un modo di alternanza tra studio e lavoro (in redazione e in tipografia) che mi ha aperto la strada del giornalismo professionale.

    Attorno all’Augustus ruotava una serie di attività autogestite: dibattiti in assemblea pomeridiana, manifestazioni di protesta in corteo, feste da ballo, gite e spettacoli teatrali (con relativa preparazione). 

    Nei tre spettacoli da me organizzati in quel triennio per finanziare il giornale, cantò e recitò con grande successo anche il nostro compagno di liceo Gigi Proietti, il quale nel marzo del 1960 calcò per la prima volta il palcoscenico di quel teatro Brancaccio che poi gli avrebbe dato tante soddisfazioni.

Nicola Bruni