Continuo a curare sul mio balcone a Roma i fiori che tanto piacevano alla mia Elina. Andavamo insieme ad acquistarli in un vivaio della Via Appia Pignatelli. Io ne regalavo a lei, e lei ne regalava a me.
In questa ottantatreesima primavera della mia vita, si è prodotta una straordinaria fioritura di cinque piante di geranio, rosso e rosa, con grossi grappoli di petali, che mi ispira a lodare Dio per la bellezza del suo creato e a ringraziarlo di tutti i beni che mi ha concesso.
Il rapporto con i fiori ha segnato alcune tappe importanti della mia relazione con Elina.
In una sera di agosto del 1973, tre giorni dopo il nostro incontro in un convegno di professori a Loreto, andammo insieme a visitare il Colle dell’Infinito di Leopardi a Recanati, tenendoci per mano come semplici amici, ma già segretamente innamorati, e io le infilai tra i capelli un fiore di oleandro. Quel gesto era una mia prima implicita dichiarazione d’amore, che riuscii ad esplicitare due sere più tardi con un bacio nel buio causato da un provvidenziale blackout elettrico.
Undici mesi dopo, Elina portava all’altare per il nostro matrimonio un delicato bouquet da sposa, simbolo di un amore che poi si è mantenuto fresco per 47 anni di vita coniugale.
D’estate, quando andavamo a rilassarci nei boschi delle Serre Calabre, Elina si dilettava a raccogliere dei piccoli ciclamini che bucavano un tappeto di foglie secche. Ogni volta ne portava a casa un bel mazzetto, come quello che immortalammo in una foto di coppia “Due cuori e una capanna” alla finestra di un rifugio di montagna.
Ricordo, infine, che un giorno Elina ritrovò essiccata una pansé, o viola del pensiero, in un suo vecchio libro di università. Allora mi disse di averla messa lì pensando al suo futuro sposo che ancora non si era profilato all’orizzonte, mentre non immaginava di poterlo amare tanto come in effetti avrebbe amato me.
Nicola Bruni