Sant’Agostino d’Ippona, grande filosofo e teologo di origine berbera vissuto tra il IV e V secolo, vescovo di Tagaste (nell’attuale Algeria), padre e dottore della Chiesa, da bambino e da adolescente era stato costretto a studiare il latino e il greco a suon di botte. Lo ha raccontato nella sua opera più famosa, “Le confessioni”: “Fui affidato alla scuola per impararvi le lettere, di cui, meschinello, ignoravo i vantaggi; eppure le buscavo, se ero pigro a studiarle. Era un sistema raccomandato dai grandi. Persino i miei genitori, i quali non volevano mi toccasse alcun male, ridevano dei colpi che ricevevo e che costituivano allora per me una sofferenza ingente e grave”.
Ho letto questo libro, che acquistai in età giovanile, durante la mia recente vacanza balneare a Pinarella di Cervia. Ne avevo sempre rinviato la lettura a tempi migliori, temendo che fosse un “mattone” piuttosto pesante. Ma da quando ho cominciato ad affrontarne le pagine, ne sono rimasto subito avvinto.
Scrive dunque Agostino: “Mi piaceva il gioco e ne ero punito da chi, a buon conto, non si baloccava meno di me… Ma proprio chi mi dava le busse, agiva diversamente? Se un collega d’insegnamento lo superava in qualche futile discussione, si rodeva dalla bile e dall’invidia più di me, quando rimanevo sconfitto dal mio compagno di gioco in una partita alla palla”.
L’autore aggiunge di aver sperimentato che, al fine di imparare certe nozioni “vale più la curiosità che la pedante costrizione”.
Agostino denuncia poi come diseducativi alcuni contenuti delle opere letterarie con cui i fanciulli erano costretti a studiare il greco e il latino: in particolare, “le invenzioni di Omero”, il quale trasferiva agli dèi i vizi umani, anziché trasferire agli umani qualità divine, e così facendo attribuiva qualità divine a uomini viziosi, affinché i vizi (come l’adulterio) non fossero ritenuti tali e “chiunque vi si abbandonasse, sembrasse imitare non già la corruzione umana, ma la celestialità divina”.
Nicola Bruni
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Nella foto: Agostino d’Ippona in abiti vescovili, dipinto di Antonello da Messina (1473).