A scuola con il sorriso

Nato sotto il segno + della Croce Rossa, donatore volontario di buon sangue 0 Rh positivo, il professor Federico Fede, alias Fefè, è un ottimista ironico, e anche un allegro burlone. Quando beve, lascia sempre “il bicchiere mezzo pieno”. Il suo motto è “Fede, Speranza e… per Carità!”. La sua massima è “tutt’al più”. La minima: “almeno”.

Insegnante di “lettere materiali” (sua versione sperimentale delle materie letterarie) in una piccola scuola media, dove è l’unico gallo del “pool” docente, tiene banco nella “sala delle professoresse” con racconti autoironici e dotte disquisizioni. Le colleghe pendono affascinate dalle sue labbra; ma, conoscendo il soggetto, non sono mai sicure se stia scherzando sul serio o parlando seriamente per scherzo.

In classe, Fefè fa il battitore libero. Quando ha le pile cariche, riesce a mettere a fuoco gli argomenti delle lezioni sparando a salve anche tre battute al minuto.

Per esempio, se deve spiegare il lessico manzoniano, sottolinea che questo è molto più ricercato del lesso di manzo, e lo si può trovare addirittura in bocca a Renzo nelle osterie dei Promessi Sposi.

Se gli capita di leggere “l’incremento del bisogno”, precisa subito, a scanso di equivoci, che quello non è affatto il contrario del suo escremento.

E se scorge un alunno voltato all’indietro, lo avverte garbatamente che sta procedendo contromano.

Quando, poi, vuole lasciar intendere di aver sgamato chi si sta copiando di nascosto i compiti delle ore successive, osserva senza drammatizzare: “Vedo che c’è chi segue la lezione, e chi la precede”.

Con lo stesso spirito, l’anno scorso, difese dalle canzonature dei compagni un primino che aveva sbagliato nel piegare il foglio del compito di italiano: “Dovete capirlo, Marco è un tipo che non fa una piega”.

La gag è, per lui, un solleticante strumento educativo, di cui si serve per allentare le tensioni, vincere la noia della scuola dell’obbligo, radere la barba alla cultura scolastica, bucare i palloni gonfiati della retorica letteraria, evacuare i luoghi comuni della lingua corrente, far digerire perfino il complemento di peso; e, poi, per dimostrare “benignamente” che la vita è bella anche quando è brutta.

Dal libro di Nicola Bruni “AD CATHEDRAM – SPIRITO E MATERIE” (ed. La Tecnica della Scuola 2004).

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