C’erano 54 alunni nella terza classe elementare del maestro Perboni, il primo giorno di scuola dell’anno 1881-82. Ma erano ancora pochi, secondo i parametri stabiliti dai governi sabaudi con la “politica della lesina”. Perciò, il quinto giorno, il direttore pensò bene di ficcarcene un altro, il 55°. A un certo punto Perboni “dal troppo lavorare s’è ammalato: cinque ore di lezione al giorno, poi un’ora di ginnastica, poi altre due ore di scuola serale, che vuol dire sfiatarsi dalla mattina alla sera”.
Siamo nella scuola municipale della Torino “umbertina” raccontata nel libro “Cuore” da Edmondo De Amicis.
Lo scrittore attribuiva agli insegnanti il compito di formare gli italiani e di “preparare al nostro paese un popolo migliore del presente”. D’altra parte, lamentava che, nonostante l’impegno con cui essi si dedicavano a quella grande missione, il loro lavoro era “mal riconosciuto e mal ricompensato”.
Come apparve scandalosamente evidente nel caso del maestro Crosetti, premiato dal Ministero con una medaglia dopo aver lasciato la scuola all’età di 82 anni, ma costretto a vivere con una misera pensione, in una casupola di campagna: “Mio padre [che era stato suo allievo] guardava quei muri nudi, quel povero letto, un pezzo di pane e un’ampollina d’olio che era sulla finestra, e pareva che volesse dire: – Povero maestro, dopo sessant’anni di lavoro, è questo il tuo premio?”.
Bisogna rileggere questa storia minore del Post-Risorgimento, per capire che la scarsa considerazione dell’attuale classe politica per gli insegnanti ha radici antiche nel nostro Paese. E fare amare riflessioni anticipate sulla prospettiva che molti alunni di oggi potrebbero incontrare, tra venti o trent’anni, qualche loro bravissimo insegnante ridotto in miseria come il maestro Crosetti del libro “Cuore”, con la pensione “contributiva” da fame che lo aspetta.
Nicola Bruni
Nella foto, un’immagine tratta dallo sceneggiato televisivo “Cuore” (1984), del regista Luigi Comencini, con Johnny Dorelli nel ruolo del maestro Perboni.