Il razzismo da stadio può essere definito come un fenomeno di maleducazione, costruita sul pregiudizio, sulla generalizzazione arbitraria, sulla superbia e sull’ignoranza. Ma è sgradevole scoprire – dalla lettura del libro di Marco Marsilio “Razzismo, un’origine illuminista”, ed. Vallecchi – che esso ha radici di “alta cultura” nelle teorie di importanti filosofi illuministi del Settecento europeo: quelli che dicevano di voler combattere i pregiudizi e rischiarare con i “lumi della ragione” le tenebre dell’ignoranza, e che tuttora sono considerati maestri del pensiero liberale.
Il primo fondamento filosofico del razzismo – argomenta l’autore – è la negazione del monogenismo biblico, risalente già a Giordano Bruno e poi a Hume e Voltaire: la creazione di Adamo ed Eva sarebbe un falso mito, a cui si contrappone il poligenismo, cioè l’origine diversa delle varie famiglie, o razze, umane. Le cui differenze sono prese a pretesto per affermare la superiorità della “razza bianca”, non riconoscere dignità umana a popoli di altra “razza”, e giustificare lo schiavismo e il colonialismo.
Dalle citazioni di Marsilio, ecco che cosa viene fuori.
Secondo lo scozzese David Hume “i negri, e in generale tutte le altre specie di uomini, sono per natura inferiori ai bianchi”.
A giudizio del francese Montesquieu “non ci si può convincere che Dio, il quale è un essere molto saggio, abbia posto un’anima, soprattutto un’anima buona, in un corpo tanto nero”.
Il tedesco Immanuel Kant pensava che “i negri puzzano”.
Il parigino Voltaire asseriva che “i negri e le negre, trasportati nei paesi più freddi, continuano a produrvi animali della stessa specie”.
“Last but not least”, infine ma non da ultimo, l’inglese John Locke (cinico azionista della tratta di schiavi africani) affermava che “il negro non è un uomo”.
Vecchi “lumi” del pregiudizio razzista: uno scandalo enorme nella storia della cultura, censurato e nascosto dal conformismo dei libri di scuola.
Nicola Bruni
Nella foto, convegno di illuministi nel salotto di Madame Geoffrin a Parigi, dipinto di Ch. G. Lemonnier (1755).