Tornato alla “vita civile” l’11 ottobre del 1969, dopo 15 mesi di servizio militare vissuti in caserme per soli uomini, non mi parve vero quando un funzionario del Provveditorato agli studi mi propose un incarico di insegnamento di italiano e storia nell’Istituto tecnico femminile “Margherita di Savoia”, in Via Panisperna, al centro di Roma. Accettai con entusiasmo.
Inizialmente mi furono assegnate tre classi – due terze e una prima dell’indirizzo per periti aziendali e corrispondenti in lingue estere – con una novantina di ragazze, quasi tutte carine, alcune bellissime, tra i 14 e i 17 anni. Fui accolto molto bene dalle mie alunne, e superai presto l’imbarazzo di avere tutti i loro occhi puntati su di me. Allora avevo appena 28 anni, non ancora compiuti, ma quando mi interrogarono sulla mia età, perché non mi giudicassero troppo vecchio dissi che ero coetaneo del pugile Cassius Clay, campione del mondo in carica. E alla domanda se fossi fidanzato, risposi sinceramente: “Non ho ancora trovato il mio tipo”.
Erano gli anni della Contestazione, il cui vento soffiava, sia pure moderatamente, anche dalla mia cattedra: contro l’autoritarismo, il nozionismo e una certa idea astratta di cultura. Io riuscii a stabilire con le mie alunne un rapporto sereno e amichevole, basato sul rispetto reciproco nella distinzione dei ruoli. Accettai la richiesta di discutere il voto di ogni interrogazione. Peraltro, nella valutazione finale, attribuivo molta importanza alla partecipazione attiva alle lezioni, alle domande e alle osservazioni intelligenti, alle risposte appropriate e alle obiezioni fondate, delle quali prendevo nota “in diretta”.
La prima innovazione didattica che introdussi fu quella di dedicare un’ora settimanale a conversazioni “in lingua italiana” (per poter spaziare) su argomenti di attualità culturale, sociale, di politica interna o internazionale o alla lettura comparata e critica di diversi quotidiani. Insomma, operai un sostanziale svecchiamento della tradizionale cultura scolastica, facendovi entrare il mondo contemporaneo e mettendolo a confronto con le civiltà del passato.
L’arricchimento del lessico, con speciale attenzione ai linguaggi della politica, del diritto, della sociologia e dell’economia, era una costante dei miei interventi didattici: non andavo avanti senza aver prima fatto trascrivere su un quaderno di appunti la definizione di ogni parola di una qualche importanza di cui le ragazze non conoscessero il significato. Alcune di quelle definizioni fornivano poi lo spunto per aprire una discussione o impostare una ricerca riguardo al loro contenuto: per esempio, come funziona la coscienza; come si manifesta il paternalismo; che cosa appare oggi anacronistico; come distinguere il razzismo dalla xenofobia; quali testi, discorsi o espressioni possono essere considerati retorici in senso negativo; quali sono gli eufemismi più usati; perché si ricorre al turpiloquio.
Un’altra caratteristica della mia didattica era l’apertura della scuola al mondo esterno, con gite scolastiche e parascolastiche (quelle che organizzate dal Centro giovanile San Bernardino, di Via Panisperna, del quale ero un animatore), con visite a monumenti, a siti archeologici, a musei, alla redazione di un giornale, alla sede Rai di Via Teulada, con la partecipazione a spettacoli teatrali, con un‘epica “scalata” della cupola di San Pietro.
Quando, nel mese di maggio del 1974, annunciai alle alunne delle mie due classi che mi sarei sposato il 3 luglio successivo a Catania, grandi furono la sorpresa e la curiosità di quelle ragazze, che non sapevano nulla del mio fidanzamento con Elina, una giovane insegnante di lettere siciliana.
L’anno dopo cambiai istituto. Mia moglie aveva ottenuto il trasferimento a Roma nella scuola media Quinto Ennio, dove io nel frattempo ero stato nominato titolare di una cattedra di ruolo: perciò andammo tutt’e due a insegnare lì… felici e contenti.
Nicola Bruni
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Nella foto, del 3 aprile 1973, io sono con un gruppo di alunne “margheritine” durante una gita scolastica agli Scavi di Pompei.